PLAN 75
Chie Hayakawa, Chieko Baisho, Hayato Isomura, Stefanie Arianne, Yumi Kawai, Taka Takao. Giappone, Francia, Filippine, 2022
Il film che vi proponiamo per una riflessione sul Futuro l’abbiamo visto al Festival di Cannes nel 2022, dove è stato presentato nella sezione “Un Certain Regard” e, opera prima della regista Chie Hayakawa (classe 1976), si è aggiudicato la menzione d’onore del Premio Camera d’Or. Uscirà a breve nelle sale italiane perciò cercheremo di non spoilerare la vostra visione con quanto scriveremo e ci limiteremo a enunciare il tema e i principali spunti offerti dalla pellicola
Inizieremo col dire che il film propone una versione distopica della società nipponica. Quando parliamo di distopia facciamo riferimento a un’utopia negativa, ovvero a una “Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi” (treccani.it). Plan 75 risponde perfettamente a questa definizione, e si può a buon diritto dire un film di fantascienza che si appoggia su elementi che lo rendono estremamente familiare e in dialettica con il nostro presente, per questo distopico. Per questo estremamente interessante.
Ci troviamo immersi in un momento storico non precisato, ma in tutto simile a quello che stiamo vivendo, dove però l’emergenza civile dovuta all’invecchiamento della popolazione ha convinto il governo giapponese ad attuare il cosiddetto “Plan 75”, ovvero l’offerta di un supporto economico-logistico agli anziani che scelgono di sottoporsi volontariamente all’eutanasia, dopo aver compiuto 75 anni. Il programma prevede diversi incentivi oltre a quello economico prima di arrivare alla morte, per esempio un viaggio o soggiorno in resort, l’accompagnamento psicologico rigorosamente telefonico per alcune settimane, e uno stuolo di giovani funzionari dediti a sbrigare la parte burocratica, uno per ogni aderente al piano. I media ne parlano entusiasticamente e fanno da sottofondo alle vicende narrate nel film che intrecciano i destini di Michi, un’anziana cameriera d’hotel, del giovane Hiromu funzionario addetto a vendere il programma, e di Maria, una giovane filippina migrante economica e madre di una bimba malata.
È proprio l’eutanasia, si badi bene non il diritto di sceglierla ma il fatto che possa essere normalizzata, incentivata e sfruttata (per gestire le risorse sociali dello Stato, per generare un business e posti di lavoro), fino a diventare una scelta obbligata, a innescare l’elemento fantascientifico. E allo stesso tempo innesca il registro di melanconico realismo che guida lo sguardo della regista nel descrivere una società indesiderabile eppure palpabilissima, e ci obbliga a ripensare elementi della nostra vita dati per scontati. Vivere, invecchiare, morire.
Hayakawa ci avvicina alle vite dei tre principali personaggi mostrandone la routine, i diversi motivi di stress, più o meno grandi, e la loro resilienza. Entriamo nella casa di Michi, ordinatamente disadorna, la seguiamo nel tragitto al lavoro e sul posto di lavoro finché non la licenzieranno, al supermercato e con le amiche; attiva, curiosa, saggia e spiritosa, ascoltiamo i suoi discorsi e a un certo punto ci pare di udire anche i suoi pensieri, fino alla decisione di aderire al “Plan 75”. Da qui i diversi passi previsti dal programma, dove la osserviamo plasmare la sua sensibile intelligenza e pacata vitalità in diligente osservanza del percorso, diremmo, piuttosto che in rassegnazione. Hiromu è un impiegato solerte e volenteroso e, come la psicologa telefonica che contatta Michi, appartiene a una classe di giovani che devono convincere gli anziani della bontà del programma.
Generazioni distanti che si trovano a collaborare, sebbene in modo asetticamente burocratico, su un progetto letteralmente mortifero. La sua è una vita metodica, accetta il suo lavoro senza porsi troppe domande fino a quando lo porterà a incontrare uno zio perso da tempo.
Maria accetta di lavorare a basso salario in una delle “cliniche” dove vengono terminate le vite di chi ha aderito al programma. La sua storia suggerisce in prima battuta che la morte di un anziano può contribuire a sostenere le cure per una bambina, in una simmetria apparentemente virtuosa di società che si dedica a trovare risorse a chi ha un futuro davanti, efficientando la fine di chi ha già vissuto e ha davanti solo difficoltà di salute o economiche.
Nonostante la velata malinconia del racconto, seguire i tre personaggi è il modo per considerare la proposta del “Plan 75” da diverse angolazioni, prendere coscienza che la cinica soluzione ammantata di efficienza altro non è che una disumana sconfitta della società. Il tema del film infatti, di scottante attualità perché ci parla di un futuro che è già presente anche nella nostra vita quotidiana e non solo come spettatori della pellicola, non è l’invecchiamento, ma l’importanza della comunità per impedire la crudele sciatteria verso gli anziani, fatta di abbandono da parte dei parenti, disinteresse dei servizi sociali, solitudine nel provvedere a loro stessi.
Con cruda delicatezza e elegante efficacia la regista - infischiandosene delle convenzioni narrative che vorrebbero in un film distopico una certa suspense - ci dice che non c’è cultura del sacrificio che tenga, neppure in Giappone: il “Plan 75” è semplicemente una crudeltà per sbarazzarsi degli anziani, dei costi legati alla loro assistenza per alleviarne solitudine e problemi di salute. Né più ne meno crudele di quello che accade nella scena di apertura del film…
D’altro canto, lungi dall’essere un mero esercizio di sollecitazione emotiva dei sentimenti e di pessimismo, questo film alternando cinismo e dolcezza, un clima plumbeo a eloquenti raggi di sole, ci ricorda che il mondo può essere crudele e pieno di solitudine ma anche che le ragioni per vivere vanno cercate nei gesti che creano relazioni e legami affettivi tra gli esseri umani.