PERCORSI DI AUTONOMIA LAVORATIVA - Per dare forma ai sogni

10 Mag 2021

Martina Gerosa

Nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, Legge n.18/09, l’articolo dedicato al Lavoro è interessante perché mette in luce che le persone con disabilità non solo dovrebbero trovare, grazie ai percorsi di accompagnamento e agli accomodamenti ragionevoli, un impiego nel mondo del lavoro. Dice infatti l’articolo 27 “Lavoro e Occupazione” della Convenzione, alla lettera (f), che gli Stati devono favorire l’esercizio del diritto al lavoro compreso il “promuovere opportunità di lavoro autonomo, l’imprenditorialità, l’organizzazione di cooperative e l’avvio di attività economiche in proprio“.

Il numero 11/2017 della storica rivista HP-Accaparlante è stato dedicato proprio a questa tematica, la monografia si intitola “Mi metto in proprio. Quando le persone disabili fanno impresa”. Tra essi è impossibile non annoverare lo straordinario Claudio Imprudente, tra i fondatori dell’omonima Cooperativa Accaparlante. Nell’editoriale si legge: “forse la nozione di lavoratore ‘autonomo’ appare in contraddizione con la limitazione delle ‘autonomie’ che il deficit porta con sé”, ma poi, pagina dopo pagina, attraverso le notizie e le testimonianze raccolte da Massimiliano Rubbi e Valeria Alpi, si scorgono i sentieri percorribili perché si realizzino forme nuove di sostegno all’imprenditorialità delle persone disabili e si scoprono interessantissime storie di successo da tutto il mondo.

Dando ascolto a storie di persone disabili al lavoro in Italia emerge, invece, che spesso non sono così ben inserite e soddisfatte delle attività che svolgono nei contesti in cui sono impiegate. Manifestano disagi e fatiche per esempio nel gestire rapporti e relazioni, specialmente quando sono presenti deficit sensoriali e/o cognitivi. Viene da pensare anche al fatto che nei Paesi avanzati oggigiorno, rispetto al passato, con i processi di terziarizzazione, ci siano meno opportunità di lavoro in ambito manifatturiero, in cui un tempo erano più facilmente impiegate persone con limitazioni, sensoriali uditive ad esempio, dopo aver seguito speciali percorsi formativi. Chiudo gli occhi e vedo passare davanti a me le straordinarie foto d’archivio di un  ex  istituto per sordomuti e vado con la memoria a una moltitudine di persone che ho avuto la fortuna di conoscere, persone ormai anziane, fiere della vita vissuta affrontando le difficoltà, ma appagate dal lavoro compiuto, intessendo relazioni sociali oltre che famigliari. Ho scoperto che nella manifattura lombarda, di fine Ottocento e prima metà del Novecento, artisti e artigiani avvolti dal silenzio operavano in modo eccelso, a volte concentrati in azioni meccaniche e ripetitive come nelle tipografie,  tra esse  quella del Corriere della Sera, altre volte, invece, occupati in attività più creative come la preparazione di scenografie e costumi al Teatro alla Scala e la decorazione di preziose porcellane alla Richard Ginori. Altri ancora erano piccoli artigiani che, diligenti e precisi, cucivano scarpe come libri, erano infatti calzolai e legatori che lavoravano nelle loro botteghe, in cui la comunicazione con i clienti avveniva in maniera semplice e diretta, avvalendosi oltre che della lettura labiale sicuramente della scrittura su carta, su cui venivano fissate parole e cifre. Attualmente, con sempre più dispositivi tecnologici disponibili nei loro ambienti di lavoro le persone disabili appaiono messe nella condizione di superare ogni barriera, in contesti lavorativi che, almeno a parole, si dicono inclusivi.

Ma tante persone, che a prima vista hanno la fortuna di avere un “posto di lavoro”, manifestano un senso di isolamento e affrontano incomprensioni e fatiche a volte smisurate, senza un adeguato accompagnamento e un’opera di sensibilizzazione e formazione dei contesti in cui sono inseriti, così da superare stereotipi e promuovere conoscenza. Penso che chi accompagna una persona con disabilità verso la vita adulta e indipendente deve rivolgere l’attenzione alle sue capacità innate oltre a quelle acquisite e fissare l’attenzione verso ciò che le procura soddisfazione, individuando adeguati percorsi formativi, verso un lavoro dipendente così come verso un lavoro autonomo.

Un uomo che perse la vista da ragazzo, un giorno, all’età di 25 anni, risponde ad un annuncio di un noto scultore bolognese, Nicola Zamboni, che era alla ricerca di persone non vedenti per verificare se questo tipo di disabilità potesse rappresentare un ostacolo alla creazione artistica. È avvenuto così per Felice - che all’epoca faceva il centralinista - l’incontro determinante per la sua futura carriera lavorativa, con il maestro di scultura che ha percepito in lui uno straordinario talento per cui doveva mettersi all’opera per “dare forma ai sogni”, ai suoi stessi sogni. Con un lungo tirocinio, durato anni, Felice ha saputo scolpire da sé la sua vita, diventando uno scultore di fama internazionale le cui opere sono collocate in musei di tutto il mondo, compresi i Musei Vaticani. Felice Tagliaferri oltre che grandissimo artista è oggi ispiratore e formatore, attraverso laboratori esperienziali a cui partecipa una moltitudine di persone, in particolare di insegnanti, educatori e professionisti della cura... che da lui apprendono cosa significhi educare e curare superando le barriere e andando oltre ciò che si vede, connettendosi con l’altro in modo empatico, oltre che con il tatto “cuore a cuore”.

Sensibilizzare i contesti, accrescere l’attenzione per l’altro e coltivare l’ascolto attivo sono tra le azioni basilari per realizzare percorsi di inclusione lavorativa dentro le Aziende, ma anche per favorire i percorsi intraprendenti di persone con disabilità nel mondo del Lavoro autonomo, oltre i pregiudizi e l’indifferenza.

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