Pensare la differenza L’attualità filosofica di María Zambrano
Sara Del Bello
La filosofia femminile – che ha dovuto farsi spazio in un terreno egemonicamente dominato da un pensiero declinato al maschile – ci ricorda quanto le differenze rappresentino il terreno di sviluppo di specificità necessarie a una comprensione più ampia della realtà. La stessa impossibilità di ridurre quest’ultima, in modo sistematico, a un’unica sfaccettatura nasce, infatti, dalla molteplice eterogeneità del reale. E la diversità, proprio in quanto tale, presuppone un suo racconto diversificato per via dell’incapacità di concepire l’esistenza come una costante riproposizione di se stessa. Senza addentrarci nel profondo di un filosofare femminile che attraversa la storia del pensiero – prima affermando un diritto all’uguaglianza, poi ricercando la propria peculiare modalità di espressione e azione, a partire dalla differenza sessuale – tocchiamo alcuni concetti chiave che, in questa breve riflessione, prendono spunto dalla prospettiva di una importante intellettuale del ‘900, María Zambrano. L’attenzione appassionata che la pensatrice andalusa – protagonista di un’esistenza segnata dall’esilio e testimone di una Europa ferita dalla violenza delle guerre e dei regimi totalitari – dedica alla relazione umana, la conduce alla scoperta di ombre e luci di cui si compone ogni vissuto. I chiaroscuri zambraniani diventano una metafora, di cui il suo linguaggio è peraltro ricchissimo, della capacità di cogliere e, al tempo stesso, accogliere la diversità che è al mondo.
In primo luogo, vorrei porre l’accento sul ruolo che il femminile gioca all’interno del suo universo speculativo. Due sono le modalità attraverso cui Zambrano dà spazio al suo essere donna: l’analisi politico-sociale della condizione femminile spagnola e la ricerca di una narrazione, linguistica e concettuale, rivelativa di una e più presenze femminili. A popolare la sua filosofia sono, infatti, voci di donne che si fanno veicolo di quella specificità, troppo spesso negata da pratiche di dominio maschili, unidimensionali e quindi incapaci di comprendere appieno l’alterità. Tra le poche a frequentare l’università nella Spagna degli anni Venti, , María Zambrano racconta di rappresentare un’eccezione in un panorama fortemente maschilista. Quasi fosse un’eresia, una donna barbuta o una curiosità da circo – come lei stessa scrive – e dichiarandosi sempre femminile, mai femminista – senza per questo non esserlo – esprime di fatto il suo rifiuto nei confronti di qualsiasi forma di etichettatura, che rientri in quel processo di sistematizzazione del pensiero e della realtà verso cui sarà sempre critica. L’impegno profuso a favore della condizione femminile si manifesta – come ricordato sopra – attraverso una profonda analisi della realtà del suo tempo. Prendono forma pagine importanti che riempiono le colonne di Mujeres, sezione del periodico El liberal de Madrid. Il suo è un invito, rivolto alle donne e alle nuove generazioni della sua terra – in un momento storico difficile, di messa in discussione del regime monarchico e della dittatura di De Rivera – a partecipare in modo attivo alla vita politico-sociale, come mai fatto prima. Un passo necessario per favorire un processo di integrazione, dove la donna non debba accontentarsi dell’emancipazione economica, ma esigere un riconoscimento delle proprie differenze: «questa emancipazione è piuttosto un insuccesso del quale la donna si dovrà consolare con ben più alte realizzazioni».
Il suo pensiero prende forma, inoltre, attraverso la scelta di alcuni personaggi femminili – da Antigone a Diotima, da Eloisa a Santa Teresa d’Avila alla Nina di Galdós – che caratterizzano le sue riflessioni. Così, la filosofa di Vélez-Málaga, in un momento in cui il pensiero della differenza sessuale non ha ancora trovato il suo terreno di sviluppo, manifesta uno sguardo premonitore. La sua filosofia, potremmo dire, è una esaltazione delle differenze. E Antigone, più di tutte, acquista una forte valenza simbolica, dal profondo significato politico. In un lavoro di rivisitazione dell’opera originale, Zambrano affida alla protagonista della tragedia un ruolo di rinnovamento politico-sociale. Infatti, a un esercizio mortifero del potere – incarnato non solo dal sovrano Creonte, ma anche dai fratelli e dal padre di Antigone – si contrappone una diversa modalità di espressione della relazione umana, di cui appunto si fa portavoce quest’ultima. Quello di Antigone, che scende nelle profondità della caverna dove viene sepolta viva, è un viaggio metaforico nella coscienza umana attraverso una rinascita continua. È l’itinerario di svelamento della responsabilità che ciascuno ha nei confronti dell’altro in virtù del proprio agire; è l’accettazione di esporsi allo sguardo altrui; è la possibilità del dialogo reso possibile dall’ascolto reciproco; è la manifestazione di una parola che nasce da un percorso iniziatico.
Nella rilettura zambraniana, Antigone ha la possibilità di incontrare e confrontarsi con le anime di coloro che l’hanno accompagnata nella sua breve esistenza, permettendo così non solo di auto-comprendersi, ma anche di sviscerare le ragioni della tragedia familiare e della sua città. Diviene, così, l’emblema di una visione democratica del potere, fondata sulla relazione dialogica e sul riconoscimento dell’uguaglianza, quale presupposto di accettazione delle differenze. E qui vengo al secondo aspetto. La filosofa spagnola, che dedica grande spazio alla riflessione sulla democrazia in Europa – tema che richiederebbe una trattazione a sé – non solo sottolinea come un regime democratico sia veramente tale quando ha la capacità di fermarsi di fronte all’integrità della persona, ma anche come esso esemplifichi lo sviluppo continuo di una melodia musicale. Una metafora che racconta un ingrediente indispensabile: la ricchezza che nasce dalle differenze. Per riprendere ancora il linguaggio zambraniano, la democrazia non ha nulla a che vedere con la staticità di un ordine architettonico. È piuttosto l’incontro di molteplici voci, ciascuna portatrice della sua diversità perché uguaglianza non significa uniformità.
Mi ricollego qui alla sua idea di pietà, anch’essa rappresentata dalla figura di Antigone: l’accoglimento dell’alterità è l’espressione di un atteggiamento pietoso. È il saper avere a che fare con ciò che non corrisponde a se stessi, senza alcuna pretesa di ridurlo a qualcosa di simile. Differentemente dalla tolleranza, propria dell’incapacità umana di sopportare che ci siano uomini diversi da noi, la pietà è invece saper trattare adeguatamente con l’altro. Un invito che, ancora oggi, suona molto attuale.