Parasite. Regia di Bong Joon-ho, Corea del Sud, 2019
Parasite è una pellicola pluripremiata. Ambientata in Corea del Sud racconta la stridente contrapposizione sociale tra famiglie ricchissime e altre che vivono di espedienti per arrivare a fine mese. Lo fa grazie alla sceneggiatura perfettamente congegnata fino all’entropia finale, la regia geniale e impeccabile, la storia originalissima e avvincente; tutto mostra la netta e abissale distanza tra classi sociali, ma anche tra il mondo del superfluo e quello della sopravvivenza.
La riflessione sulle differenze di classe, i privilegi e le alleanze all’interno della società, è sorretta dalla storia della misera famiglia Kim – padre, madre, figlio e figlia - che riesce a farsi assumere da una ricca famiglia borghese – i Park: algido uomo d’affari, moglie depressa, figlio epilettico, figlia esuberante – senza rivelare i loro legami di sangue e inventandosi diplomi e professioni per scalzare chi era già al loro servizio. I Kim vivono in uno sporco seminterrato di pochi metri quadri nei bassifondi della città, sbarcano il lunario assemblando quasi senza posa cartoni per pizza, si arrampicano sul WC per poter intercettare il wi-fi degli esercizi commerciali vicini e condividono l’alloggio con gli scarafaggi. L’arte di arrangiarsi è il loro modo di sopravvivere, perciò il figlio approfitta dell’offerta di un amico di sostituirlo come insegnante di inglese della figlia Park per introdurre via via in famiglia la sorella come terapista del figlio Park, poi il padre come autista e la madre come domestica. Un piano meticoloso che dimostra la coesione della famiglia Kim dove l’alleanza per riuscire a raggiungere il benessere è solidissima. Per contro i Park vivono in una grande villa di design posta in collina, spaziosa ed elegante, godono di un magnifico giardino privato, dispongono di personale per tutte le faccende di servizio e non mancano proprio di nulla, compresi segreti e sottili disfunzioni familiari. Le due abitazioni sono dunque nettamente in contrasto tra loro e marcano segnatamente il divario sociale in termini di alto e basso. Gli spazi asettici e ampi dei Park stridono con quelli angusti dei Kim e il dato visivo simbolico sulle condizioni di vita e psicologiche dei due nuclei familiari è potente. Anche la situazione di semiinterrato esprime l’abisso incombente – e il tentativo di tirarsene fuori - tra chi ha tutto e chi non ha nulla. Il verticale contrasto alto/basso, mondo di sopra/di sotto, è significato attraverso le ripetute discese di lunghissime scalinate – sembrano condurre agli Inferi per la connotazione aranciata che assumono i controluce – percorse dai Kim per tornare nel loro maleodorante quartiere; ma anche all’interno della casa dei Park il regista insiste su inquadrature di personaggi che emergono da scale, a suggerire forse che anche in quel mondo dorato esistono “faticose” rampe esistenziali nonostante i privilegi, oppure a segnalare che anche dentro a quel luogo si è insinuato un “mondo di sotto”. Senza spoilerare oltre, diremo che a questo punto l’ambigua convivenza tra ricchissimi e poverissimi, “padroni e servi”, e poi il conflitto all’interno di una sola classe, quella dei poveri sottoproletari, si sostanzia via via di colpi di scena che dimostrano l’impossibilità di sovvertire questo impianto sociale, nonostante l’emersione – nel verso senso della parola - di istanze che rivendicano il diritto al benessere e alla felicità anche da parte degli ultimi. Ma c’è sempre qualcuno “più ultimo”. L’utopia dei Kim viene spazzata da altre persone, ancora più povere di loro, l’apparente commedia degli equivoci venata di sarcasmo evolve in cruenta black comedy, un arguto e spietato affresco sociale che fa pensare ora a Shakespeare, ora a Bunuel, ora a Hitchcock.
“Una società implacabilmente di classe, senza la coscienza e la lotta di classe” ha detto qualcuno.“ Una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi” ha riassunto il regista Bong Joon-ho, dove si ride o sorride anche in assenza di un personaggio veramente comico, e di un vero “cattivo”. Dove è impossibile dispiacersi completamente per ciascuno dei personaggi perché ognuno ha fatto qualcosa di scorretto per meritarsi il proprio destino, e d’altro canto tutti meriterebbero un destino migliore. Tutti un po’ parassiti: i Kim imbroglioni, i vecchi domestici ladri di cibo, persino i Park rappresentanti di una società capitalista e anaffettiva, assolutamente introversa. Oppure tutti vittime di un sogno di benessere materialistico che si annida, parassita incallito, in ciascuno di noi?