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OUT OF OUR COMFORTZONE

A cura di Eva Vittoria Cammerino
02 Apr 2018

Tutto ciò che di seguito leggerete, anche se di primo acchito può non sembrare così, si è rivelato fondamentale per il mio lavoro.

La capacità di lavorare con squadre internazionali e di risolvere problemi di diversa natura si devono, essenzialmente, alla flessibilità e all’empatia sviluppata in questi anni. Ma come? Cogliere, interpretare e indirizzare bisogni particolari, esigenze singolari, è frutto del percorso che racconterò tra poco: esperire la diversità ci rende persone più attente e reattive all’altro.

Out of my comfort zone

Sì, credo sia proprio questa la frase che esprime meglio la filosofia che ormai da anni muove la mia vita e le scelte più importanti che ho preso.

Dieci anni fa, lasciavo un paesino nella provincia di Milano dal nome particolarmente buffo e naif, Rescaldina, dove le diversità si contavano sul palmo di una mano: un ragazzo etiope, qualche bimbo del sud Italia e una ragazza disabile. Il mondo finiva nelle quattro stradine che portavano alla Piazza della Chiesa. A Rescaldina avevo tutto ciò che si poteva desiderare. Una bella casa, una famiglia, un buon gruppo di amici e un adorabile fidanzatino. Perché me ne andavo? Volevo altro, volevo vedere cosa c’era fuori, capire e fare cose diverse, conoscere persone e luoghi.

Volevo toccare con mano e vedere con occhi cosa c’era nel mondo, e non attraverso televisione o libri.

E così, ho spento la tv e sono partita alla scoperta.

Le esperienze si sono moltiplicate: da pic-nic sulla Senna con Tsiry – amica malgasha –, a lezioni di macro economia alla “panetteria Paul” con Guillaume – francese e quebequoi – e qualche topolino. A Malta ho diviso la stanza con una ragazza turca senza velo, a Londra con Giuli che mangiava carne di cammello, a Parigi spartivo l’appartamento con una canadese che mangiava solo toast al burro di arachidi (grande scoperta) e peperoni, ho ballato la salsa a Montparnass con Karin – amica svedese – e Jildas, giovane ingegnere franco-senegalese, che ha da poco avuto un bimbo che mi chiama Tatie (zia). In Francia ho imparato che anch’io ero diversa, e quindi discriminabile, nonostante gli occhioni blu, la pelle bianca e i capelli castani. Perché ero un’italiana a Parigi. Amara scoperta? No. Solo quando ci sentiamo diversi noi, capiamo. Quando, consapevoli del nostro valore, subiamo una discriminazione, capiamo che tutti gli altri individui hanno valore. Come noi.

E poi Ohana e l’umidità profumata delle Hawaii, dove ho terminato la laurea specialistica. Parole impronunciabili ma dal suono armonioso, un’amica coreana e una della Nuova Guinea, imparare un po’ di surf, conoscere l’insegnante di antropologia: Aysha, pakistano-americana, che raccontava di studi in Uganda e della foresta amazzonica. Mondi che aprono mondi. E ancora,

David ex militare che giocava con il fuoco, Sarah dolce biologa bionda, Bobby – nato da madre americana e padre di Santo Domingo – che lavorava di notte per diventare veterinario. E l’autobus, che portava alle onde del Nord e agli slums. Dove incontravo sempre qualcuno. Tendenzialmente tatuato, spesso “su di giri”. Ricordo un ragazzo, che chiese se quel pomeriggio avrei visto la partita di rugby. Il mio inglese all’epoca era pessimo e l’ignoranza sul rugby assoluta: non sapevo cosa rispondere. Eppure, lui, aveva molto da raccontare. Parlò dei suoi fratelli, dei bassifondi, del proprio non-lavoro.

Mia madre non si è mai capacitata di come non mi sottraessi a certe conversazioni paradossali. Ma credo che tutto arricchisca, senza eccezione. Conversazioni superficiali e relazioni profonde. E ho capito quanto, in amore, la diversità risulti particolarmente complicata, poiché, forse, va accettata “in toto”.

E così, quando nel 2016 sono approdata a Roma, mi è di colpo mancata tutta quella diversità. E, nonostante una parentesi belga e una spagnola, tuttora mi manca. In Belgio vivevamo tutti a Bruges, paesino microscopico, e il Collegio d’Europa ospitava più di quaranta nazionalità. Ricordo il caffè turco rovesciato da Nazrin, i racconti politici di Simge, le lezioni di arabo date da un ragazzo proveniente della Striscia di Gaza, che portava con sé un dolore incurabile. E Cecile, che stava organizzando il matrimonio, Agathe, che avrebbe lasciato l’Europa per la Cina, e Marie-so, che studiava diplomazia ma in realtà voleva cucinare torte. Con Ondaran (turco) andammo a comprare una bici fuori Bruge scamminando per kilometri, con Willy (francese di colore) e Balasz (ungherese) passammo pomeriggi d’inverno a giocare a squash. E poi la fuga a Madrid: la dirompente Madrid, il bandonion di Fernando, il tango nella Piazza, Dario che decide di diventare donna e Maga che cucina empanadas venezuelane.

Di queste persone ricordo il sorriso. L’energia trasmessa. Anni luce diversi da me. Pianeti e galassie. Ma c’era sempre un punto d’incontro. La magia si crea, la curiosità avvicina, come una calamita… se abbassi le difese e superi i preconcetti. Hanno riempito la vita di colori, suoni, onomatopee sconosciute.

Sono andata via via dissolvendomi in queste differenze, per rinascere ogni volta arricchita.

Conoscere il diverso è fondersi con qualcuno o qualcosa. Passare da essere ghiaccio ad acqua. E poi tornare solida, inglobando qualcosa di nuovo.

Troviamo il coraggio di andare! Di lasciare la zona di comfort, i punti di riferimento. Sciogliamoci nella danza del mondo. “La diversità è la chiave dell’evoluzione del mondo.

”Un giorno confidai alla segretaria della Residenza di Studio in Rue de Sevres, a Parigi, che mia madre era triste per la mia assenza. Lei posò la penna sul libro ed esclamò con garbo francese: – Eva, chérie, lo sai, vero, perchè si dice mettere al mondo i figli? –. Sorrisi.

Fateli andare i vostri figli, fate prendere loro il volo.

EVA VITTORIA CAMMERINO, 1988. È laureata in Relazioni Internazionali e diplomazia , con esami conseguiti in Italia, Francia e America, per passare poi alla Scuola Diplomatica a Roma (SIOI) e terminare con un Master di specializzazione al Collegio d’Europa di Bruges. Durante la laurea specialistica, la curiosità verso il mondo la porta a lavorare per una grande Azienza energetica, a Parigi. Dopo un’esperienza interessante in un think tank della capitale francese, si sposta in America, dedicandosi nuovamente allo studio.

Al termine del Collegio d’Europa, dopo un breve periodo al Ministero degli Affari Esteri, si trasferisce a Madrid lavorando per un’agenzia di consulenza, in progetti di cooperazione europea, occupandosi soprattutto di Nord Africa.

Dopo “l’anno spagnolo”, torna in Italia per lavorare all’Ambasciata Britannica, prima come funzionario energetico e poi come funzionario di protocollo per le visite di Stato (Primo Ministro, Ministro degli Esteri e Visita Reale), infine per i 14 G7 e il Summit di Taormina, a fianco dei Ministri del Governo May.

È consulente per le relazioni istituzionali del Magazine “The Cub”.

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