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OLTRE LA POROSITÀ DEI CONFINI COMUNITARI E DELLE IDENTITÀ TERRITORIALI

Il racconto di Mattia Peradotto, Direttore Generale UNAR
A cura di Marta Bello
21 Dic 2023

Come prima cosa ti chiedo di presentarmi un po’ UNAR: quali sono le mission e i progetti che portate avanti e qual è il tuo ruolo al suo interno?

UNAR è l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri ed è l’ente incaricato dallo Stato italiano di garantire, verificare e monitorare la parità di trattamento tra tutte le persone, a prescindere dalle loro caratteristiche personali. Con questa espressione intendiamo vari ambiti a partire dal background etnico e di provenienza, passando alle convinzioni personali e alla religione, all’orientamento sessuale e identità di genere, allo stato o meno di disabilità ed infine all’età. 

L’ufficio nasce in seguito al recepimento di una direttiva europea tramite un decreto legislativo del 2003, quindi quest’anno raggiunge i venti anni della sua attività. 

L’ufficio è composto dal Direttore Generale, io, e da due servizi con al vertice un dirigente, le strutture comprendono poi 15 colleghi e 10 esperti a complemento tecnico e contenutistico del lavoro sulle tematiche che l’Ufficio gestisce.

UNAR ha due principali aree di attività: una è quella specifica e standard degli equality body, cioè organismi di parità a livello europeo, a cui viene assegnata la responsabilità di ricevere le segnalazioni da parte delle vittime o di testimoni di discriminazioni avvenute, di istruirle e provvedere in tutte le modalità consentite alla rimozione di questa discriminazione e al supporto della vittima. Questo viene fatto attraverso il contact center: un insieme di strumenti di contatto che l’ufficio ha, tra questi c’è il numero verde nazionale (800.90.10.10), un form sul sito web e un indirizzo e-mail a cui possono essere segnalate discriminazioni. Queste segnalazioni poi passano attraverso un meccanismo gestito da operatori e operatrici qualificate, che si basano sull’istruzione come pratica, per cui si passa a delle azioni concrete per riuscire effettivamente a rimuovere la discriminazione avvenuta. Poiché UNAR è un equality body di promotional type, non sanzionatorio ma promozionale, l’attività consiste in azioni di moral suasion sia in ambito privato sia in ambito pubblico. Su questa parte c’è una relazione al Presidente del Consiglio e al Parlamento che UNAR deve, per legge, fare ogni anno e nella quale viene raggruppato un quadro delle segnalazioni pervenute, il modo in cui si è intervenuto e quali sono stati gli esiti di questi interventi.

L’altra area di attività è pienamente promozionale e si sostanzia in azioni positive, su questo UNAR si muove in maniera un po’ più particolare rispetto ad altri organismi dediti alla parità a livello internazionale, avendo l’opportunità di implementare progetti e iniziative sperimentali e pilota per rafforzare e promuovere la parità di trattamento. Quindi, se da un lato abbiamo la presa in carico di una discriminazione già avvenuta, dall’altra c’è una parte fondamentale: il tentativo di prevenzione e promozione di una cultura della parità, del rispetto e dell’antidiscriminazione. Anche su quello l’ufficio ha una storicità di progetti molto ampia su tutti gli ambiti di discriminazione, un esempio è la settimana dedicata all’antirazzismo, che viene promossa tutti gli anni da UNAR come avviso di awarness raising, quindi avente l’obiettivo di promuovere la realizzazione di campagne di sensibilizzazione da parte di NGO che lavorano in quest’ambito. 

Poi ci sono ambiti specifici, ad esempio sull’orientamento sessuale e identità di genere, dove sono stati fatti vari progetti per la promozione del benessere lavorativo della comunità LGBTQIA+, ci sono state tre grandi iniziative di ricerca fatte con ISTAT sul benessere e la presenza effettiva di discriminazione per queste comunità nell’ambito del lavoro. Ci sono dei percorsi di inclusione e di formazione lavorativa soprattutto per alcune comunità target maggiormente marginalizzate a livello lavorativo. C’è un importante piano nazionale che prevede la strutturazione e il rafforzamento di una rete di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere che è ora alla sua seconda annualità. Oltre questo, l’altro ambito di forte intervento del l’ufficio è quello dell’inclusività delle comunità rom e sinti del paese. Come sappiamo, è un panorama molto vasto perché c’è una grande varietà all’interno di queste comunità. Alcune hanno una storia di lunghissima permanenza nel paese. Ad esempio, l’anno scorso a Bologna sono stati festeggiati i 600 anni della presenza della comunità Rom nella città. Quindi, parliamo di comunità che hanno un pezzo di storia che è parte della storia collettiva del Paese e delle nostre comunità, come quelle abruzzesi o bolognesi, appunto. Poi ci sono anche comunità di più recente spostamento e migrazione, soprattutto provenienti dall’area balcanica. L’ufficio è poi diventato, nel tempo, anche focal point e punto di contatto nazionale per le diverse strategie che nell’ambito dell’antidiscriminazione vengono richieste dai principali organismi a livello internazionale, soprattutto dalla Commissione Europea. Insomma, un insieme di attività ampie che comprende anche la partecipazione e la rappresentazione del paese in alcuni dei tavoli europei in seno al Consiglio d’Europa e alla Commissione Europea. 

Il tema di questo numero è Confini, penso che abbiano molto a che fare con le discriminazioni e forse sono l’uno la causa dell’altro. Confini istituiti, storici, geografici… Cosa ne pensi e come vengono affrontati, secondo te? Hai notato dei cambiamenti nella situazione in Italia negli ultimi anni?

Secondo me, in questo caso, soprattutto dal punto di vista della parità di trattamento, è interessante andare oltre quello che noi intendiamo come concetto di confine tradizionale, ovvero come un concetto geografico o relativo ad un luogo. Invece, secondo me, per comprendere davvero qual è il tema della parità di trattamento è interessante andare ad analizzare il confine come elemento di separazione comunitaria e che è il fattore che spiega e che può raccontare meglio di tutti la discriminazione.

Parlerei quindi di confini di comunità, più che di confini geografici. La discriminazione avviene sempre quando dinnanzi alla persona che abbiamo di fronte o ad un certo gruppo di persone con cui arriviamo ad avere un elemento di interazione, non riconosciamo lo stesso trattamento che vorremmo vedere adottato e praticato nei nostri confronti e che riconosceremmo all’interno dei nostri confini di comunità. Ed è proprio lì che avviene l’atto discriminatorio: in questa contrapposizione di alterità data da una divisione di confine comunitario, che è molto più interessante, secondo me, di un confine fisico. Perché poi vediamo tanti elementi di discriminazione che non necessariamente ricomprendono ambiti geografici, ma ricomprendono degli elementi più comunitari o più individuali. Il punto, a mio avviso, non è necessariamente l’eliminazione di confini che ognuno di noi ha nella rappresentazione di sé, la separazione che pone tra sé e le altre persone, ma piuttosto capire come un confine possa diventare in realtà un elemento di interscambio, poroso, rispetto alla separazione di comunità. Si tratta di prendere il carico la comprensione delle altre persone, quello che noi facciamo normalmente quando ci relazioniamo, ma in maniera un po’ più strutturata. Cioè andando a comprendere, conoscere e quindi a metterci in relazione anche con comunità che sono o che noi percepiamo differenti da quella in cui siamo immersi. 

Quest’elemento di interscambio, di conoscenza e di possibilità osmotica di scambio, consente di riconoscere le differenti collettività, comunità, insiemi di relazioni come qualcosa a cui assicuriamo lo stesso trattamento che vorremo per noi stessi, qualcosa con cui sappiamo entrare in relazione in modo positivo. L’elemento cardine della parità di trattamento consiste nell’applicare le modalità, le attenzioni, la disponibilità alla comprensione e la modalità di interlocuzione che vorremmo applicata a noi stessi e che noi applichiamo alle nostre relazioni sociali più vicine ed immediate. Questo è vero per tutte le diverse comunità ed è vero soprattutto per un lavoro che deve essere intercomunitario e intracomunitario

L’aspetto più interessante è proprio all’interno delle comunità riuscire a ricostruire o a costruire, anche da zero, relazioni di conoscenza di comprensione e di parità nella presa in carico dei bisogni, delle fatiche e della vulnerabilità. Questo lo si fa con un non sempre semplice, ovviamente, che però comprende la conoscenza come primo elemento, e anche la capacità di comprendere quali siano le dimensioni della persona che abbiamo difronte e quindi riuscire a trattarne in maniera delicata tutti gli aspetti personali. 

All’interno di alcuni gruppi sociali ci sono dei sottogruppi o sottocomunità ancora più marginalizzati. Come tu dicevi prima, pensiamo alla comunità rom e sinti che subiscono la maggiore discriminazione razziale in Italia, oppure la comunità transgender all’interno della macro comunità LGBTQIA+, secondo te perché avviene questo fenomeno?

È un’ottima domanda. Credo che sia cruciale l’elemento di ulteriore vulnerabilità e marginalizzazione, ma soprattutto mi concentrerei sul tema dell’esclusione sociale dovuta proprio alla mancanza di capacità di ricomprendere dei pezzi specifici di comunità all’interno delle relazioni collettive. In questo senso, un chiaro esempio riguarda le comunità rom e sinta. In altri paesi europei queste comunità hanno vissuto un percorso differente, penso alla Spagna dove c’è una comunità gitana fortissima, soprattutto nella parte sud del paese, e dove si è costruito un percorso di valorizzazione e di promozione culturale, di recupero della propria identità culturale. Si è messo in evidenza quanto quel tipo di patrimonio culturale avesse impattato sulla storia e cultura spagnola tout court e come fosse inscindibile l’elemento di apporto delle comunità gitane con la storia spagnola. Anche in Italia abbiamo degli esempi di questo fenomeno: le comunità ebraiche. La storia delle comunità ebraiche è la storia italiana: lo è per un insieme di persone che hanno fatto sia la storia italiana sia la storia di queste comunità. 

In questo caso è stato più semplice riconoscere l’apporto di queste comunità alla storia nazionale e viceversa, e quindi riconoscere che parlare della storia della comunità ebraica-romana o ebraica-milanese è parlare della storia italiana. Ecco, secondo me è proprio questo l’elemento interessante: l’esclusione anche fisica delle comunità rom e sinte ha reso il processo più articolato. In Italia abbiamo comunità presenti nel paese da molto tempo, che sono in parte “secolarizzate” rispetto alla propria identità culturale, e poi c’è stato un fenomeno di ulteriore immigrazione dall’area balcanica di comunità che sono state più marginalizzate, ad esempio con gli insediamenti. Questo fenomeno è fortunatamente migliorato molto negli ultimi cinque anni, ma è un elemento ancora presente e su cui noi stiamo lavorando. C’è stato proprio un processo di perdita di cultura rom e di perdita di storie che consentissero di farci capire e raccontarci quanto la cultura rom abbia impattato sulla cultura nazionale su vari ambiti, anche specifici.

Oggi, secondo me, sono maturi i tempi di un tentativo di presa di coscienza, di riscoperta, di recupero di identità e di memoria collettiva tramite anche la promozione e la riscoperta della cultura romanì e di come questa, anche nei secoli passati, abbia contribuito alla costruzione di una cultura nazionale fatta di varie microculture, di cui una è la cultura romanì. Le tante persone di questa comunità, in Italia si stimano circa 180.000 individui, hanno, però, grandi difficoltà a rendere evidente la propria appartenenza alla propria comunità perché esiste un diffuso sentimento antizigano che è dato dall’identificazione della questione rom tout court con il problema sociale degli insediamenti. 

Dobbiamo relazionarci le comunità rom e sinte riacquisendo una dimensione di riscoperta culturale e di identità che consenta di recuperare una memoria collettiva che mette in relazione la storia di tutte e tutti noi, la storia italiana, alla storia della comunità rom e sinta in Italia, che è un pezzo della storia del paese.

Vorrei aggiungere anche un altro spunto di riflessione: l’elemento comunitario per eccellenza è la comunità in cui ognuno di noi vive, quindi il paese, la città, il quartiere. Per questo è molto importante ciò che si riuscirà a fare sotto tutti gli aspetti relativi all’antidiscriminazione proprio nell’ambito delle comunità territoriali o locali. È infatti nelle comunità di vita che si sostanzia la costruzione delle relazioni sotto premesse e prospettive positive e funzionali a rendere le comunità abitate e vissute come luoghi in cui la parità di trattamento è un elemento fondamentale.

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