OLTRE I CONFINI DELLA PERCEZIONE: ABBRACCIARE SÉ STESS* IN UN MONDO DI NO
Nel tessuto intricato della società, la percezione del corpo umano ha da sempre giocato un ruolo centrale e universalizzato, ignorando che la diversità dell'eterogeneità si è drasticamente trasformata in una semplice e scontata etichetta con finalità distintiva, dalla quale cercare di smacchiarsi quotidianamente. Confini di immagine, di caratteristiche corporee, di gusti sessuali, di genere, di colore, di credo: il folto esercito degli stereotipi che rende massa ogni singolo corpo di questa Terra. Ci hanno inculcato fin da bambin* il mito della bellezza senza sbavature di narrazione molto disneyana, pensiamo solo alla fatidica frase: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”, come nemico da debellare in quell’immagine riflessa. Questi contorni visibili e invisibili sono delineati da culture, norme sociali, e spesso, dalla pressione implacabile delle aspettative. Ciascun* di noi è incatenat* da un ideale estetico che, spesso, è scolpito dalla perfezione, dalla giovinezza e dalla simmetria. Ma il corpo umano, con la sua complessità e diversità, supera ogni definizione monolitica, e dobbiamo sfidare queste barriere che noi stess* abbiamo eretto per comprendere appieno il valore in questo mondo e anche la bellezza e la forza, perché no, che risiedono al di là di tali confini.
Nell'epoca digitale, l'immagine del corpo si è trasformata in un'intricata tela sociale, attraverso la quale navigare con incertezza. I social media, le riviste patinate e i marchi di moda ci bombardano costantemente con modelli di bellezza inarrivabili, dando vita a una generazione che aspira a norme inumane. Alzare il sipario su una narrazione diversa lo sento come un obbligo a fin di bene, non per dimostrare, ma per dialogare sulla celebrazione dell’esistenza dei corpi ribelli, che a piccoli passi, tutti in salita, si stanno prendendo il proprio spazio sociale, uniti. Da persona disabile con un corpo confinato in uno schema di percezione di non produttività sociale, come donna, professionista, essere umano, la mia condizione è un compagno di viaggio silente ed ingombrante per le altre persone, è considerato come una "deviazione" dalla norma. E mentre in molt* vorrebbero inneggiare al nascondere, rivendico questa diversità umana meritevole di essere riconosciuta e accettata.
Questi corpi ribelli (mi piace la definizione di Evastaizitta nella sua antologia che porta proprio questo titolo) rappresentano una sfida ai paradigmi tradizionali e un'opportunità di ridefinire la bellezza e la validità. La loro presenza inizia a farci comprendere che il corpo umano è molto più di quanto appare superficialmente. La vera bellezza risiede nella diversità, nell'unicità di ciascun individuo e nella storia che il suo corpo racconta, è radicata nelle esperienze, nelle lotte e nei successi che i corpi portano con sé. Sfondiamo i confini della percezione del corpo e abbracciamo la diversità corporea in tutte le sue forme. Accogliamo l'inclusività come una pietra angolare della nostra società, offrendo spazio, rispetto e riconoscimento a ogni individuo, indipendentemente dalla conformità ai canoni tradizionali di bellezza.
È tempo di ridefinire ciò che significa appartenere a questa società. Ogni corpo ha un posto legittimo da occupare, uscendo dal confine della percezione tradizionale, orgoglios* di rivendicare la complessità di chi siamo.