INTERVISTA A ANTONIO DIKELE DISTEFANO E GIUSEPPE DAVE SEKE - Zero, Netflix
A cura della Redazione
Zero è liberamente tratto da Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikele Distefano. Sia l’avvento di uno scrittore di origini angolane, dal grande successo editoriale in Italia, sia la produzione di una serie Netflix nel nostro Paese con un cast di attori e attrici, a loro volta di seconda generazione, che recitino in italiano è da salutare come un fatto di un’importanza capitale. Soprattutto perché, oltre alle ovvie ragioni di riconoscimento e integrazione di persone nate in Italia da genitori di origini “straniere”, è e sarà fonte di rinnovamento della lingua italiana che, a dispetto di quanto si pensi, è molto più viva e versatile di quanto ci si possa immaginare. Già molti scrittori e scrittrici italiani ci avevano provato venti e più anni fa e furono definiti Cannibali: basterà qui ricordare Niccolò Ammanniti e Tiziano Scarpa, di cui in particolare va ricordato Groppi d’amore nella scuraglia.
Quanto ha contato nella vostra vita il contatto con la scuola italiana, i suoi autor*, la poesia, la letteratura? C’è qualcuno (insegnante, amico) che ha saputo trasmettervi l’amore per la cultura italiana? E’ stato tutto solo fonte di sofferenza e frustrazione?
Antonio: Nella mia vita la scuola non è stata molto di aiuto, ma perché sono io che non mi sono fatto aiutare. Adoro la letteratura italiana e soprattutto quella contemporanea, mi piace proprio il suono che ha la nostra lingua. Attualmente sto leggendo il romanzo “Lo spazio bianco” di Valeria Parrella. Essendo nato qui, l’amore che ho per la cultura italiana è sempre stato presente. Non è che mi è stato trasmesso, ma è una cosa che mi è sempre stata vicina. L’amore per la cultura dei miei genitori invece mi è stato trasmesso da loro, perché è qualcosa con cui non avevo un contatto diretto. Per quanto riguarda il mio contatto con la scuola, non è stato tutto solo fonte di sofferenza e frustrazione, ma anche di tanta gioia. Sono io che sono più bravo a raccontare emozioni come la sofferenza, piuttosto che emozioni positive come la gioia e l’allegria.
Giuseppe: Ha contato molto, ho la fortuna di essere una persona curiosa, che poi non è una fortuna, ma è un continuo coltivare interesse verso le cose. La letteratura italiana, ma in generale la letteratura tutta, ha sempre rappresentato per me un pozzo di intuizioni, verità, spiegazioni, interpretazioni della vita che mi porto sempre dietro. C'è sempre altro dopo la letteratura come nella vita, sono frasi che scritte in un certo modo ti portano da un'altra parte, proprio come la vita, se indagata ti porta sempre più avanti.
Nella serie un elemento importantissimo è la musica. In particolare la musica rap o trap. Quanta importanza ha avuto nella vostra formazione la musica.
Antonio: La musica è stata molto importante nella mia formazione perché, a differenza dei contenuti proposti dalla scuola, era più accessibile, più veloce e meno impegnativa. Ho sempre trovato l’approccio scolastico molto più difficile e i libri proposti sempre molto impegnativi. Per esempio mi ricordo che quando mi regalarono il “Barone Rampante” di Italo Calvino, dopo aver letto le prime pagine, non ci capii nulla. Con la musica questa cosa non accade, anzi è proprio grazie alla musica che mi sono affacciato al mondo della scrittura. Quando leggi i testi delle canzoni che ascolti, inizi a capire che c’è una metrica, inizi a capire il peso delle parole. Non è un caso che nella vita abbia letto più testi di artisti che romanzi. Questo è il motivo per cui la musica è stata importantissima. Quando scrivo c’è musica, scrivo proprio con un ritmo, non riesco a scrivere senza musica.
Giuseppe: La musica per me è tutto. Ha la stessa importanza del respirare perché senza non vivo. Ho scoperto questo genere all’età di 6 anni con Tupac e da lì il mondo ha avuto un aspetto migliore.
Come vi aspettavate che fosse accolta la serie? Che tipo di reazione ha suscitato fra i vostri amic* e nell’ambiente nel quale siete cresciut*? Apprezzano il fatto che stiate diventando famosi, o vedono in questo un motivo di preoccupazione?
Antonio: Sinceramente non penso di essere diventato famoso, anzi meglio così! Il motivo per cui faccio il mio lavoro non è sicuramente quello di diventare famoso, non mi interessa. Devo dire che la serie è stata accolta molto bene e con tanta energia. Qualcuno invece è rimasto scontento e sicuramente sono consapevole che ci siano delle cose che vanno migliorate. I miei amici erano tutti molto contenti e anche io per aver realizzato un altro mio sogno.
Giuseppe: Esattamente come è stata accolta! Zero è un prodotto fresco, nuovo che in tanti stavano aspettando che aprirà le porte ad un nuovo modo di vedere e fare cinema in Italia. La mia famiglia ,i miei amici e tutti i ragazzi del mio quartiere sono super orgogliosi di questo traguardo perché riguarda tutti! Non mi piace il termine famoso.. apprezzano con gran cuore il fatto che stiamo diventando portatori di speranza.
La serie, grazie a Netflix e alla sua distribuzione globale, permetterà di aggiungere finalmente un’immagine leggermente diversa e più moderna di quella tradizionalmente rappresentata fin qui. Che progetti, come si dice, bollono in pentola? E’ vero che ci sarà una seconda serie di Zero. Il finale lo lasciava sperare…
Antonio: Di progetti ne ho sempre tantissimi. Per me è importante definire bene la mia voce. Attraverso i miei lavori, le persone devono capire cosa voglio raccontare e quali sono le cose di cui amo parlare. Per quanto riguarda l’uscita della seconda stagione di “Zero” bisogna chiederlo a Netflix!
Giuseppe: Questa esperienza mi ha dato tanto e il mio più grande progetto è quello di continuare a migliorarmi. Ho un fantastico team con il quale lavoro che crede in me ed insieme sono sicuro che faremo grandi cose! L’unico consiglio che posso darvi è di rimanere connessi.