NON SIAMO GLI STESSI È IL MOMENTO DI DIMOSTRARLO - Normalizzare il cambiamento a partire dalla comunicazione e dalla relazione umana

03 Dic 2020

Nadia Bertaggia

Ci troviamo nuovamente di fronte a una situazione incerta e critica, con il ritorno di emozioni come la paura, l’allarme e il panico, che hanno già - purtroppo - caratterizzato la prima metà del 2020. Non entriamo nel merito dell’emergenza, ma è certo che un ulteriore sforzo di responsabilità è stato richiesto ai cittadini e alle imprese per contenere i contagi. Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che “L’Italia non è la stessa di marzo”. Dal mio osservatorio privilegiato, in quanto HR Manager di un’azienda di oltre dieci mila dipendenti e in contatto con clienti di diversi settori, colgo questo cambiamento e ritengo che questo momento di rottura, inaspettato e legato a una condizione di grande incertezza sia da trasformare in un’occasione positiva.

Di fronte al lock-down generalizzato di marzo e aprile, le imprese italiane hanno dovuto affrontare importanti cambiamenti nella gestione del business: consulenza e servizi hanno rivisto la propria organizzazione attivando, grazie alle potenzialità della tecnologia, il cosiddetto smart working. I siti produttivi e le altre realtà coinvolte in prima linea nella lotta al virus hanno proseguito con il lavoro on-site, confrontandosi ogni giorno con le emozioni legate al nuovo assetto e con l’evolversi delle norme di sicurezza. Occorre tirare le fila di quanto fatto negli ultimi mesi per capire come impostare i prossimi. Se è vero che non siamo gli stessi di marzo, lo dobbiamo dimostrare formulando strategie non solo di reazione a un problema, ma di prevenzione e di innovazione su larga scala e a lungo termine. In particolare, voglio sottolineare l’importanza di volgere l’attenzione alla componente umana, alle esigenze e aspettative delle persone.

Lo smart working non si improvvisa

Dall’inizio dell’emergenza sanitaria l’espressione “smart working” è entrata a far parte del linguaggio della politica, dei media e dell’opinione pubblica. Tuttavia, ritengo che sia un termine utilizzato in maniera impropria. Lo smart working è, infatti, una “filosofia manageriale” che si basa su una cultura aziendale dove, prima ancora dello smart worker, deve esserci uno smart manager che educa e fa crescere professionalmente le persone e un’organizzazione impostata sull’autonomia e la responsabilizzazione dei collaboratori. È un processo, un modo di organizzare il lavoro che nasce da una cultura aziendale in cui fiducia e rispetto per l’individuo sono alla base e che si può inscrivere in un piano di welfare specifico, in coordinamento con manager, responsabili delle risorse umane e collaboratori. Con lo smart working così inteso si lavora per obiettivi, a orari flessibili e in modalità che possono anche includere l’utilizzo di uno spazio coworking o lontano da casa senza vincoli di tempi e luoghi. In cambio, il lavoratore si impegna ad essere responsabile, presente e proattivo. Oltre alla cultura aziendale appropriata servono settori aziendali idonei e attività lavorative che si sposano con questi principi. Ci rendiamo conto, allora, che quello che abbiamo chiamato smart working in una situazione emergenziale altro non era che telelavoro, o remote working. A partire da una confusione a livello di terminologia, il rischio è di improvvisare senza tenere conto delle possibili ricadute sia sul singolo lavoratore che sull’azienda. Chiudere le sedi fisiche può sembrare la soluzione più semplice nell’immediato, ma può rivelarsi dannosa a lungo termine se non accompagnata da un’adeguata strategia di welfare e da momenti in presenza.

Come evidenziato dalla ricerca "Worklife after lockdown" - condotta per Sodexo da Harris Interactive Institute attraverso 4.824 interviste online su un campione di lavoratori dipendenti di otto paesi selezionati secondo criteri di genere, età, categoria professionale e regione di appartenenza - sono emersi alcuni aspetti problematici del lavoro a distanza. I principali sono la mancanza di interazione sociale per il 44% degli intervistati, difficoltà a collaborare (34%), difficoltà di concentrazione (32%), minore identificazione con l’azienda (32%), senso di isolamento (30%), postazione di lavoro inadeguata (20%) e dieta meno equilibrata (17%). Di fronte a queste criticità, il mio consiglio è di non sottovalutare il potere dell’interazione dal vivo (siamo pur sempre esseri umani!) e di promuoverla prendendo tutte le precauzioni necessarie, a beneficio della capacità di lavorare del team, del benessere emotivo e del senso di coinvolgimento del singolo.

La comunicazione è fondamentale

La paura del contagio e l’ansia che deriva dai risvolti economici, professionali e sanitari della situazione attuale devono essere gestite, sia a livello individuale che collettivo, poiché è probabile che dovremo convivere con questo virus per molto tempo ancora e poiché il benessere mentale delle persone dovrebbe essere una priorità per qualsiasi azienda. La paura si attenua con una corretta comunicazione e un linguaggio adeguato: senza comunicazione anche l’applicazione dei più rigidi protocolli perde valore. La parola, se usata in maniera opportuna, nutre, rassicura e tranquillizza. La ricerca Harris Interactive mostra come comunicare le azioni intraprese sia stato fondamentale per costruire un senso di sicurezza. Il 59% degli intervistati, infatti, è preoccupato per la propria salute e sicurezza sul posto di lavoro, ma sente di poter essere rassicurato da azioni quali un maggiore controllo delle procedure e una miglior comunicazione delle linee guida.

Fare rete per ripensare l’organizzazione

Dopo la salute delle nostre persone, altrettanto fondamentale è la salute della nostra organizzazione che, se necessario, dovrà evolvere e trasformarsi, continuare a crescere. Fare network, comunicare e affidarsi agli altri chiedendo aiuto laddove non bastano le energie individuali è imprescindibile. Credo infatti che la “nuova normalità” debba essere basata su un’intensa e profonda collaborazione tra realtà diverse per favorire resilienza, innovazione e sicurezza a lungo termine. Quest’idea è anche alla base del nostro programma per una nuova normalità “Rise with Sodexo”, una metodologia ideata per rialzarci insieme da questo momento e guardare avanti con un approccio sistemico, in cui attivare le giuste soluzioni per combinare sicurezza e benessere con efficienza e produttività.

La pandemia sta ri-configurando il nostro modo di lavorare, di pensare e di descrivere il lavoro stesso, ma oltre alle sfide che ci pone di fronte, c’è anche qualche opportunità da cogliere. Paura, sicurezza, socializzazione e isolamento saranno concetti portanti della nostra vita professionale e privata. Ogni azienda dovrà mettere in gioco la propria apertura mentale e voglia di comunicare nei confronti dei propri collaboratori e stakeholder, per plasmare lo scenario futuro in cui si muoverà.

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