MITI DA SFATARE, BODY SHAMING E CANONI DA SUPERARE
Non mi piace la bellezza di serie. Non c’è bellezza senza qualche stranezza.
(Karl Lagerfeld)
Un grande film deve molto ai protagonisti come ai comprimari. Chi non ricorda, in The Wolf of Wall Street, la scena in cui il cameriere (un po’ imbranato, diciamocelo) chiede a Leonardo Di Caprio quanto costi la sua auto in bella vista? Ebbene, quel cameriere goffo diventerà di lì a breve uno dei collaboratori più fidati dello spregiudicato uomo d’affari contribuendo, in maniera determinante, alla scalata verso il successo della società da lui fondata (successo intorbidito da una modalità disonesta per arricchirsi).
Jonah Hill mi colpì proprio per la discrasia tra il suo aspetto (un po’ da inetto) e il suo fare (poco raccomandabile). E ricordo bene di essermi molto divertito (con me stesso) ad interrogarmi su questo disallineamento: perché un buono a nulla non poteva anche essere audace fino a diventare pericoloso? La cosa mi piacque, mi divertì, la trovai giusta (per noi spettatori). Evidentemente Jonah Hill era un po’ nel mio destino, perché l’ho ritrovato in un film molto interessante (True Story) in cui gioca la parte di un ottimo giornalista screditato per aver lanciato uno scoop senza fonti certe e che, per riscattarsi, si mette a scrivere la storia di un uomo accusato di aver sterminato la famiglia. Anche in questo caso, per Hill, un ruolo fuori dagli schemi, in aperta contraddizione col suo aspetto bonario.
E sono rimasto molto sorpreso nell’apprendere che l’attore ha avuto un percorso travagliato di convivenza col proprio corpo e, soprattutto, con quello che gli altri hanno avuto da dire sul suo corpo. Così Jonah Hill ha chiesto di smettere di commentare la sua forma fisica: «Non mi è di nessun aiuto, anzi, mi fa sentire peggio». Decisamente tranchant. È strano, vero? Pensare che un personaggio così celebre e celebrato possa risentire a livello mentale dei commenti che si sprecano sul suo conto, fino a perdere sicurezza in se stesso. Perfino, come si legge nell’articolo, quando i commenti sono d’incoraggiamento o addirittura positivi.
Le riflessioni fino ad ora condotte ci portano ad approfondire il tema del body shaming, ossia la sistematica derisione di una persona per il suo aspetto fisico, specialmente attraverso l’uso dei social. Attenzione: le accuse mosse al malcapitato/a di turno prendono di mira un aspetto che non necessariamente è così lontano dalla realtà o dai “canoni” di bellezza del momento. Anzi. Per intenderci: se io avessi i capelli rossi, potrei essere riempito da una valanga di insulti solo per avere i capelli rossi. Così, tanto per gradire. Questo per darvi l’idea della portata di un fenomeno stupidissimo capace, però, di generare gravi danni. Il dramma si consuma quando giudici improvvisati (e anonimi: come gli utenti del web) ci additano per una qualsiasi ragione legata al nostro aspetto e ci inducono a provare un forte senso di vergogna (lo sottolineo a voce alta) immotivata. Se colpiti nel profondo, il rischio è di aprire le porte alla vergogna, di lasciare entrare e veder sorgere (nel nostro corpo, nella nostra mente soprattutto) disturbi di vario genere, da quelli alimentari a quelli psicologici e psichici.
Colpisce ancor più che Jonah Hill sia un maschio “alfa”, quindi bianco, eterosessuale, eccetera.
Insomma, ci siamo capiti, lui non dovrebbe essere interessato da tutto ciò. La verità è che il mito del maschio “alfa” rischia di soffocare gli stessi uomini che non corrispondono perfettamente al prototipo di perfezione. Declinare, poi, il fenomeno del body shaming al maschile è probabilmente insolito, perché questo tema riguarda spesso il genere femminile, ma – giocando un po’ con le parole – possiamo dire che il rischio di essere derisi perché il proprio corpo non risponde a canoni prestabiliti (e, soprattutto, duri a morire) è altamente e drammaticamente inclusivo. Tutti potremmo esserne colpiti. Di questa piaga del nostro tempo si stanno ormai interessando leggi, normative sulla privacy, aule dei tribunali.
C’è un momento cruciale in tutta questa desolazione: il momento in cui gli altri, offendendo, ci porgono il vassoio della vergogna. Possiamo scegliere di accettarlo o di ignorarlo. Per trovare la lucidità, la forza e la maturità per dire “no, grazie” bisogna però lavorare sulla cultura collettiva e sull’autostima personale. Nel nostro corpo dovremmo imparare a stare tutti a nostro agio: la vera bellezza, in fondo, è tutta qui.