«MI CHIAMANO BARBONA»
A volte mi chiamano barbona.
Lo sento che sussurrano tra di loro, passando veloci davanti al negozio di scarpe. Io l’ultimo paio l’ho comprato proprio poco prima di partire, me lo ha regalato Antonio, diceva che il rosso mi donava…Non era la prima volta. Mi ero abituata. Ma quella volta è stato diverso.
Ogni tanto mi perdo nei colori. Sì, i colori, dei vestiti, delle voci, dei treni... E il caldo e il freddo sulla faccia, tra le dita delle mani… e dei piedi, che ora le scarpe non le hanno più.
Quando l’ho vista per la prima volta non potevo crederci. Quella cosa stupenda è uscita da me!!? Dal mio corpo!? Dalla mia pancia!? Dalla mia pelle… Io, la scema del paese? La scema… mi chiamavano. Però nei cespugli, dentro i garage, sopra i materassi con le molle che ti graffiavano la schiena non ero più così scema. Pensavo fosse una cosa che poteva fare solo il mio papà… ma forse no. Papà. Gli voglio bene, certo che gli voglio bene. Passa di qui ogni tanto. È strano, qualche volta cammina sui tetti dei negozi, poi vola, si avvicina di colpo e mi guarda dritta negli occhi: «Nannarella…. Nannarella… vieni che andiamo a fare la merendina…». E poi viene il buio. Di nuovo. Tutto nero.
Ma quando ho visto Gioia per la prima volta il mondo si è acceso. Si è aperto come i petali di un fiore che non sapevi potesse esistere ed invece piano piano sboccia alla vita. Tutto il brutto, quel brutto, è scomparso così, improvvisamente, come la nebbia al sole. Alfredo, ieri al gruppo, ha detto che non gli piace la pasta che cucinano il martedì a Binario 95! Troppo sale, troppo pepe, troppo olio, poco sugo. Si lamenta sempre Alfredo… e poi vuole sempre il pollo… ma il pollo c’è il giovedì… povero pollo…
«Alfredo, loro ci pensano a noi, e se ci danno da mangiare certe cose un certo giorno è perché sanno che è quello che ci fa bene… devi fidarti dei ragazzi…». «Stai zitta vecchia scema! Tu sei buona solo…», e poi si è trasformato, ed è arrivato papà. Ha incominciato a gridare, gli si è gonfiato il viso e gli occhi sono diventati stretti, stretti… «Nannarella, Nannarella… la tua merendina…Nannarelllaaaaaa!». E ho avuto paura e sono scappata.
Francesco, l’operatore, quello carino che sta sempre alla porta, ha provato a convincermi ma io avevo paura, mi stava inseguendo… ancora… ancora una volta… Non avevo voglia di fare merenda.
«No! Gioia la lasci stare e basta!», non doveva prendere anche lei, non doveva prendere anche Gioia.
La mia Gioia.
E allora sono scappata al mio posto, qui, vicino al negozio di scarpe.
Sono corsa… non lo so… forse ho volato… non lo so… è che… a volte mi dimentico le cose, a volte tutto diventa buio… i colori, le voci, il freddo, si confonde tutto. Il dottore mi ha detto che, se prendo le pasticche i mostri scompaiono e che, se voglio posso andare nella casa; Sabotino si chiama, come il monte. Sì, quella bella con il terrazzo grande dove ci sono anche le altre, come me. Qualcuna, non tutte. Moira non li può avere i figli perché lei era un uomo. Ora è una donna ma i figli ancora non li può avere… credo… però è simpatica. Mi accarezza sempre quando vado da loro e mi dice che io sono la sua sorellina. Mi sarebbe sempre piaciuto avere una sorella, qualcuna a cui raccontare quelle cose. Forse lei mi avrebbe capita. Alla mamma lo avevo detto che mi faceva male, ma lei… era quello che mi meritavo, poi l’ho capito. Quando Antonio mi è venuto a prendere con la macchina sapevo che la mia vita finalmente sarebbe cambiata. Ormai ero maggiorenne! E i primi giorni… tutti quei baci, anche forti, belli sì, ma anche forti, a volte troppo forti. Non era la prima volta. Ma quella volta è stato diverso. Lui mi chiamava bella non mi chiamava scema. Però poi se n’è andato e mi ha lasciata qui, vicino al negozio di scarpe. Magari torna…
Quante luci la notte. Non è vero che è buio, i negozi vuoti fanno tanta luce e mi fanno compagnia. E le guardie non mi dicono nulla, forse perché ho tutti questi stracci che mi proteggono. Per questo ne metto sempre uno in più, uno sopra l’altro. Mi piace quando riesco a farmi una doccia al centro, ma c’è sempre la fila. Quando mi faranno rivedere Gioia voglio essere bella, e profumata. Voglio che lei sia orgogliosa di me. Che poi è strano… a volte mi chiamano barbona. Ma io ho una figlia.
IKEA ITALIA E BINARIO 95, UN VIAGGIO LUNGO QUASI 15 ANNI
IKEA Italia e Binario 95, il centro di accoglienza per persone senza dimora della Stazione di Roma Termini, viaggiano assieme ormai da quasi quindici anni: nel 2009 proprio dal modello romano prendeva il via un grosso progetto per la valorizzazione degli spazi dati in comodato d’uso gratuito da Ferrovie dello Stato Italiane per creare o ristrutturare centri di ascolto e di accoglienza nelle stazioni, gli Help Center. Occorreva non solo arredare gli spazi, ma restituire un senso di casa a chi spesso non l’aveva. «L’accesso a un alloggio adeguato è infatti un diritto umano fondamentale, ma a moltissime persone in Italia questo oggi non è garantito - ricorda Stefania Mastroeni, Equality, Diversity & Inclusion Leader di IKEA Italia -. È un problema che non coinvolge semplicemente i e le “senzatetto”, ma comprende anche coloro che vivono in alloggi intermedi o temporanei, così come famiglie costrette ad abitare in luoghi inadeguati». Garantire un luogo bello e accessibile è parte integrante del processo di inclusione sociale. E «IKEA Italia, collaborando con la rete dell’Osservatorio Nazionale della Solidarietà nelle Stazioni italiane (ONDS), intende promuovere un nuovo approccio di impatto sociale, che miri a identificare quali buone pratiche deve mettere in atto una multinazionale come la nostra per dialogare con la comunità locale e sostenerla, con il coinvolgimento dei principali stakeholder e dei suoi co-worker», prosegue Mastroeni. Oggi sono 20, da Nord a Sud, gli Help Center della rete ONDS. La maggior parte sono stati arredati da IKEA Italia che ha esteso il suo contributo anche ad altre iniziative come Casa Sabotino, il centro di accoglienza di Binario 95 per donne vulnerabili cisgender e transgender