MATRIMONI “MISTI”

15 Dic 2021

Secondo i dati Istat pubblicati nel febbraio 2021, i matrimoni misti (ovvero in cui un coniuge è italia- no, l’altro straniero) ammontano a oltre 24 mila nel 2019, valore sempre in aumento negli ultimi 5 anni.

La tipologia più frequente è quella in cui lo sposo è italiano e la sposa è straniera (17.924, pari al 9,7% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2019). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 6.243, il 3,4% del totale delle spose. Più difficile avere dati sulle coppie civili interetniche e in particolare su quelle dello stesso sesso.

La quota di matrimoni con almeno uno sposo straniero è più elevata nelle aree in cui è più stabile e radicato l’insediamento delle comunità straniere, cioè al Nord e al Centro. In queste due aree del Paese quasi un matrimonio su quattro ha almeno uno sposo straniero, mentre nel Mezzogiorno questa tipologia di matrimoni si attesta intorno al 10%.

A livello regionale in cima alla graduatoria vi sono la provincia autonoma di Bolzano (32,4%), la Toscana (28,1%), l’Umbria (26,8%) e la Lombardia (25,3%). Tutte le regioni del Mezzo- giorno si trovano invece sotto la media nazionale.

Un simile aumento dovrebbe essere un segno positivo di “accoglienza”, “integrazione”, “normalizzazione” del rapporto con l’altro inteso come “straniero”. Questa è la speranza, anche se le difficoltà che una coppia multietnica incontra sia nei rapporti interpersonali, sia con le famiglie (d’origine e cir- costanti) non sono certo ancora risolte.

Come dice Chiara Saraceno in un suo interessante articolo pubblicato su Reset (Coppie miste, un’ancora di salvezza? Reset n.103 settembre-ottobre 2007): “Ogni coppia, infatti, deve costruire un «fare comune» a partire da abitudini, tradizioni, know how differenti: che cosa si mangia e come lo si cucina, come si festeggiano i compleanni e le feste comandate, quali sono i rituali e le scadenze importanti, come si esprime l’affettività, quali sono gli standard di igiene e pulizia, i modelli di genere e i rapporti genitori/figli – sono tutte cose che sono percepite e normate in modo più o meno sottilmente differente da ciascuna famiglia e costituiscono il bagaglio e la mappa di navigazione che ogni persona si porta appresso quando forma una coppia e su cui si trova a negoziare con il/ la proprio partner.”

Nella mia esperienza personale, queste varianti sono state una sfida complessa e un bellissimo momento di scoperta di un’altra cultura e del piacere nel narrare la mia. Quando mio marito si è trasferito dal Kenya in Italia ogni giornata era un’avventura di racconti e di scambio, costellata di di- vertenti fraintendimenti che portavano, però, alla riflessione profonda di quanto non si conosce del mondo. Così per me, in Kenya, quello che avevo visto e pensavo di aver capito

lavorando come cooperante o superando i luoghi comuni di Malindi e dei safari, non era assolutamente paragonabile alla sorpresa della vita quotidiana reale a Nairobi o nei villaggi rurali. Noi eravamo facilitati, tutti e due lavoravamo nella cooperazione internazionale, abituati a un profondo rispetto per le differenze di cultura e credo religioso, ma non eravamo pronti ad affrontare il “razzismo nascosto” delle famiglie allargate, di quelli che credevamo simili a noi. Non soltanto per lui qui, ma anche per me è stata, ed è, una lotta quotidiana contro l’immagine standardizzata che ci accompagna nei due paesi. Quella che Chimamanda Ngozi Adichie chiama “Il pericolo di un’unica storia”.

Io la “muzungu”, devo essere per forza ricca, lavorare solo in ufficio, avere personale di servizio a casa e se mi siedo per terra a sgranare fagioli o entro nell’orto con le amiche del villaggio sono strana; lui spesso, quando entra nei negozi o al bar, viene guardato con sospetto, quasi non fosse in grado di pagare ciò che consuma. Un giorno, addirittura, mentre passeggiava con il nostro cane gli è stato chiesto se l’animale fosse in vendita... e la risposta al suo sguardo sorpreso è stata che non si è mai visto “un negro in giro con il cane”. Piccole banalità quotidiane che s’inscrivono in problemi più seri da affrontare al lavoro, nei rapporti con istituzioni e servizi e che, spesso, rendono ancora più amaro il cammino già complesso.

Ripeto: noi siamo privilegiati perché viviamo circondati da persone che non vedono le differenze come un problema, ma come un mondo da esplorare, da cui prendere la parte migliore per costruire una realtà rispettosa di tutti. Ma la strada è ancora lunga.

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