Manuela Nicolosi: prima arbitra italiana
Da quando hai maturato la tua passione di diventare arbitra?
È stato quando la mia famiglia, molto tifosa, mi portò per la prima volta allo stadio a vedere una partita di calcio. Quel giorno ero completamente estasiata da tutto ciò che caratterizza una partita di calcio: le persone allo stadio che si abbracciavano, che urlavano e cantavano a squarciagola per i/le propri/e beniamini/e. Ricordo che mi sono detta: “mamma mia, bellissimo, lo voglio fare anch’io!”. Però quando ho fatto capire alla mia famiglia che anche io volevo giocare a calcio, mi hanno detto che non era per me e che avrei dovuto fare qualcosa “più da ragazza” e così ho praticato diversi sport per un po’ di anni. Quando sono diventata adolescente, mio cugino che era arbitro, mi ha informata del fatto che in Italia anche le donne potevano – finalmente - ufficialmente diventare arbitre; dovete sapere che prima del 1990 in Italia per le donne era vietato dal regolamento assumere quel ruolo.
Quali sono le difficoltà più grandi riscontrate nel raggiungere questo tuo traguardo?
All’inizio del percorso, dopo aver concluso la mia formazione, mi sono state assegnate le prime attività, e con esse sono arrivate le prime difficoltà. Io ero giovane, e la prima volta che mi sono recata verso il campo e mi sono interfacciata con il responsabile, lui sbigottito mi ha guardata e ha esclamato: “ah ma sei te l’arbitro?” – poi si è girato verso i giocatori e ha detto “ohi ragazzi oggi c’è una ragazza, facciamo da soli!”. Un altro esempio è il momento dell’appello con i giocatori: figuratevi le battutine, le moine nei miei confronti… mentre io sono lì per lavorare e farmi rispettare. La prima partita, lo ammetto, l’ho finita in lacrime.
E quali sono invece i momenti più felici del percorso come arbitra?
Il mio essere arbitra e donna mi creava continui blocchi di carriera; pertanto, ho trasferito la mia carriera in un altro paese, in Francia. Lì sono stata accolta dal presidente di sezione e, dopo diverse esperienze, sono stata promossa alla seria A femminile, riuscendo anche ad essere eletta come miglior arbitra nazionale.
Quanto impatta per te l’utilizzo da parte di tutti/e del linguaggio inclusivo per il tuo ruolo?
Il termine “arbitra” in Italia credo di averlo introdotto io con la mia presenza e ruolo essendo una delle poche, o uniche. Le mie colleghe dicono di preferire la declinazione maschile “arbitro”, ma perché? Anche in altre lingue romanze come il francese si dice “madame l’arbitre o monsieur arbitre” che è neutro, in spagnolo invece c’è la declinazione “la árbitra” e “el árbitro”. Questa è una mancanza di informazione sul funzionamento del linguaggio. La grammatica ha regole ben precise! Alcune lingue hanno il genere neutro, come l’inglese, altre invece hanno le declinazioni di genere, e pertanto è giusto e corretto utilizzarle. Da cosa nasce questo “fastidio”? Semplicemente per una poca abitudine della società a riconoscere il ruolo di arbitra associato al genere femminile considerando la scarsità di colleghe facenti il mio lavoro.
Nella tua esperienza, quale consiglio vorresti dare alle persone che vogliono raggiungere i propri sogni/desideri?
Se non siamo prima noi a credere nelle nostre capacità nessun altro lo farà. Noi dobbiamo essere consapevoli che il nostro successo dipende dalle nostre competenze, e da nient’altro. Dobbiamo ricordarci che abbiamo una vita sola. A volte le persone ci consigliano di non andare troppo in alto, di non seguire i nostri sogni, e di accontentarci che già siamo fortunati/e con l’oggi. La verità è che spesso le persone hanno paura dei propri sogni. Io consiglio invece di seguire ciò che vi fa sentire vivi/e, scavalcando qualsiasi paura o muro vi si alzi davanti. La vita è vostra e di nessun altro/a.
“Decido io. Dal sogno alla Supercoppa: il coraggio di rompere gli schemi”. Quando è nata l’idea di questo libro e perché?
L’idea del libro è nata un po’ per caso dopo i miei primi interventi come speaker e formatrice nelle aziende, quando tra le domande che mi venivano poste ce n’era una ricorrente: “vorremmo saperne di più sulla tua storia, quando scrivi un libro?”. A un evento ho poi conosciuto l’AD di Roi Edizioni che mi ha proposto di pubblicarlo e quindi ho pensato che l’universo mi stava inviando tutti i segnali per farmi capire che era proprio il momento per farlo! Non ho voluto scrivere una “semplice” biografia, ma un libro che potesse ispirare le persone a credere nei propri sogni anche quando questi sembrano impossibili! Ma se lo sono per le altre persone mentre per noi sono realizzabili, allora ci possiamo riuscire! Si intitola “Decido io” perché come arbitra ho imparato a prendere decisioni una dopo l’altra nel più breve tempo possibile ed è diventata un’abitudine che applico anche nella mia vita, professionale e personale. Nel libro parlo degli ostacoli, dei sacrifici e delle sconfitte che ho attraversato, ma grazie a diverse tecniche di crescita personale che ho imparato e applicato, sono riuscita a raggiungere i miei obiettivi. Il messaggio che desidero trasmettere è che ognuno/a di noi può realizzare i propri sogni, ma siamo solo noi stessi/e a poter decidere, nessun altro/a.