Salute MentaleSalute mentalefemminileneurodivergenza

MALACARNE, DONNE E MANICOMIO NELL'ITALIA FASCISTA (DONZELLI, 2017)

A cura di Annacarla Valeriano
25 Mar 2024

Malacarne è il frutto di un lungo lavoro di ricerca condotto sulle cartelle cliniche dell’archivio storico dell’ospedale psichiatrico Sant’Antonio abate di Teramo, una delle strutture più importanti del Centro Italia. La decisione di studiare le documentazioni prodotte da questa istituzione totale nell’arco di settant’anni (dal 1881 al 1950) è scaturita nell’ambito di un più generale progetto di ricerca che ho condotto qualche anno fa, con la volontà di valorizzare le memorie inedite dell’ex manicomio di Teramo per fare in modo che grazie alla loro conoscenza la comunità potesse riappropriarsi di un pezzo della sua storia e della sua identità. 

I fascicoli personali dei ricoverati e delle ricoverate sono carichi di umanità, molti sono corredati dalle fotografie dei pazienti e la presenza delle immagini contribuisce, senza dubbio, a innescare un immediato contatto emotivo con chi li studia.

Queste documentazioni non si limitano a racchiudere semplici informazioni di natura medica, relative al periodo della degenza, ma spesso restituiscono storie di vita tragiche legate ai contesti sociali e culturali di appartenenza. Le vicende delle giovani donne rinchiuse in manicomio su volontà delle famiglie per essere “corrette” oppure quelle dei bambini ricoverati per il semplice fatto di essere nati in contesti famigliari degradati rappresentano, in questo senso, i casi più emblematici e coinvolgenti.

In manicomio, infatti, finivano per essere ricoverate persone provenienti da ambienti materiali poverissimi, che si erano rese visibili alle autorità di pubblica sicurezza con condotte sconsiderate, comportamenti fuori dalle righe, incapacità di rispettare le regole. Le loro intemperanze non erano necessariamente riconducibili alla malattia mentale ma esprimevano una angoscia esistenziale profonda, il desiderio di ribellarsi a un mondo di miseria e di privazioni. Il manicomio era il luogo dei diseredati, della “malacarne” – intesa come umanità di scarto – inadeguata a svolgere ruoli nell’interesse superiore dello Stato. In questo senso, negli anni del regime fascista, si intensificò la stretta repressiva sulle condotte devianti e gli ospedali psichiatrici accentuarono la loro funzione di istituzioni deputate alla “bonifica sociale”. 

A far scattare il meccanismo dell’internamento, fin dal 1904, erano due criteri: la pericolosità sociale e il pubblico scandalo. Il concetto di scandalosità, negli anni, fu modellato sulla base delle aspettative sociali e dei valori condivisi dalle comunità di appartenenza: scandalosi non erano solo coloro che turbavano l’ordine pubblico con azioni che mettevano a repentaglio gli equilibri sociali. Nel caso dei ricoveri femminili, scandalose potevano essere considerate quelle donne incapaci di incanalare la loro sessualità a fini esclusivamente riproduttivi nell’ambito dei confini matrimoniali, o anche le giovani che trasgredivano le rigide regole della famiglia patriarcale per inseguire vite più licenziose. Le condotte di queste donne mettevano in crisi equilibri domestici e onorabilità familiare, sovvertendo regole e consuetudini immodificabili; per questa ragione venivano allontanate e portate in manicomio per essere recuperate alla norma. La stessa idea di “normalità” veniva definita sulla base di codici culturali intrisi di stereotipi e di pregiudizi nei confronti della diversità. 

Il manicomio, in questo senso, rappresentò uno dei tanti dispositivi di sorveglianza per eliminare dalla società gli “anormali” e quanti rischiavano di intaccare il patrimonio biologico e morale dello Stato; negli anni del regime fascista, in particolare, rappresentò una delle pratiche del “razzismo di Stato” attuate contro coloro che inficiavano la sanità della razza. 

Tra le mura del manicomio si snodò il campionario della degenerazione femminile punteggiato da differenti figure dell’anormalità: a essere ricoverate non erano solo le anomale fisiche e mentali ma tutte coloro che “succubi di uno sfacelo del senso morale” non riuscivano a controllare i propri istinti. Su queste “nature inferiori” fu applicata una profilassi nazionale a scopo rieducativo. 

Anche dopo la caduta del regime fascista, i manicomi hanno continuato a rappresentare per molti anni dei luoghi di reclusione per una porzione di umanità diseredata; solo nel 1978, con l’approvazione della legge 180, nata sulla spinta della rivoluzione culturale innescata dallo psichiatra Franco Basaglia, è stato possibile restituire una seconda possibilità di vita a coloro che fino ad allora erano stati negati nei diritti e nella dignità.

Leggi questo numero
Registrazione Tribunale di Bergamo n° 04 del 09 Aprile 2018, sede legale via XXIV maggio 8, 24128 BG, P.IVA 03930140169. Impaginazione e stampa a cura di Sestante Editore Srl. Copyright: tutto il materiale sottoscritto dalla redazione e dai nostri collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione/Non commerciale/Condividi allo stesso modo 3.0/. Può essere riprodotto a patto di citare DIVERCITY magazine, di condividerlo con la stessa licenza e di non usarlo per fini commerciali.
magnifiercrosschevron-down