LA TELA | Rubrica Arte - LUIGI ONTANI
Giacinto Di Pietrantonio
Un corpo d’arte
Luigi Ontani vive, letteralmente, nei suoi tableau vivant. Dalla fine degli anni Sessanta si rivela nelle vesti delle più famose icone mitologiche e religiose, la Lupa Capitolina o San Sebastiano, dei personaggi storici e folkloristici più acclamati, Dante o Tarzan. Tante le maschere che ha indossato, tutte universali. Egli sfrutta il suo corpo come linguaggio: colto e popolare, serio e ironico, alto e basso allo stesso tempo, creatore di nuovi significati, fondatore di nuove identità.
Nei musei si mostra a grandezza naturale, in fotografie ritoccate con pennellate di acquerello.
La sua prima performance tableau vivant pubblica fu Tarzan, nel 1973. Quest’opera fu il punto di partenza per un’interpretazione narcisistica del suo percorso da parte di intellettuali come Goffredo Parise che di lui scrive: “Personalmente, gli invidio molte cose: l’essere vegetariano, analcolico, infantile, supernarciso, eppure narciso classico, tale e quale, il giovinetto che si specchia alla fonte. Da qui la sua natura schizoide. Gli invidio soprattutto di passare sulla terra con quelle scarpe di boa dall’enorme suola con infinita leggerezza e ironia, non l’ironia della realtà ma quella della metafisica, assai più sottile e, nelle migliori intenzioni, eterna”. Ma Ontani non è realmente il personaggio che interpreta e non si vuole sostituire a questo, rimane se stesso in tutta la sua opera. Ontani recita il personaggio, si immedesima, ma rimane evidente la persona. Si maschera come nella tradizione teatrale greca e afferma: ”La maschera è la maschera della mia identità, la fotografia testimonia il mutamento dell’identità pur conservando la qualità della mia evidente, o anche illusoria, fisionomia”.
Ontani offre il suo corpo a servizio dell’arte, il suo corpo è qui e altrove. Come scriveva Michel Foucault in Il corpo. Luogo di utopia, il corpo, in realtà, è sempre altrove. Il nostro corpo è il punto zero del mondo, grazie ad esso per noi esistono un sopra, un sotto, un avanti, un indietro e un vicino, ma il corpo è fondamentalmente ovunque e da nessuna parte, e questo dà la possibilità all’artista di muoversi nello spazio tempo con così tanta agilità interpretativa.
Androginia/ermafroditismo
Ontani è regista e protagonista della sua opera, che è continuamente segnata dalla ricerca di un dualismo. Sperimenta il corpo come doppio: non come divisione ma bensì come unità. Interpreta il doppio genere come essenza in Shiva (1977), una delle opere che testimonia la sua passione per l’Oriente, insieme a San Sebastiano Indiano (Jaipur) del 1976 e Krishna del 1978, dove viaggia spesso e apprende tecniche artigianali per applicare l’acquerello sulle fotografie e la pratica della scultura del legno pule, che impiegò per realizzare soprattutto maschere coloratissime.
In opere come EvaAdamo si sdoppia/riflette nei panni di entrambi, pur sempre rispettando la tradizionale iconografia di Adamo e di Eva che sorregge la mela del peccato originale.
Lupus lapsus è un’opera del 1992, Luigi Ontani si palesa nelle vesti della Lupa Capitolina che allatta i piccoli Romolo e Remo. Qui l’artista sceglie di fondere i sessi: è sia lupa che lupo, sfruttando la sua naturale androginia, e i due fratelli sono di colore. Innanzitutto anche solo biologicamente ci appare evidente che Luigi Ontani non sia in grado di allattare i bambini e dunque di nutrirli affinché la leggenda della nascita della città di Roma sia realizzabile, in più sconvolge la tradizione facendo interpretare Romolo e Remo da due bambini neri, nell’intento di combattere un etnocentrismo sempre più dilagante. Grazie a questi due espedienti scavalca la storia e punta oltre la leggenda.
Performance fissa
Al contrario dell’happening di Allan Kaprow tanto in voga al tempo l’artista sceglie di fissare la sua figura immortalandola, ancorandola nel tempo, dando vita a una performance fissa che si affermerà poi alla fine degli anni Ottanta grazie a artisti come Cindy Sherman e Yasumasa Morimura. Come lui stesso spiega in un’intervista del 2003 rilasciata a Federico De Melis per Alias, supplemento de Il Manifesto: “Ho scelto di fare della mia pittura, e della performance pittura, non per vivere l’oblio ma per resuscitare la storia dell’arte, della favola, della mitologia, dell’allegoria, del folklore, dell’iconologia. Non mi ha mai interessato, o relativamente, che sia l’aspetto dell’happening ... quello che mi interessa è lo spazio costruito dal pensiero”.
Ontani afferma la sua immortalità istrionica grazie al mezzo fotografico facendo risorgere il passato attraverso lui.
Si sente un erede del passato, la ricerca delle origini è uno dei temi centrali nel suo lavoro.“Un artista non deve essere originale, ma originario” sosteneva Giorgio De Chirico, un artista che sempre gli è stato a cuore e omaggia diverse volte, ad esempio con l’opera Autoritratto nudo (d’aprés Giorgio de Chirico) in cui si fotografa nella stessa posa del maggior esponente della pittura metafisica in un suo autoritratto olio su tela del 1945, sfuggendo ancora una volta dalla modernità. Il passato è presenza, le origini sono il presente.