Privilegi e alleanze

Loro sono noi

Intervista a Luca Radaelli, infermiere e Sar Hr Manager di EMERGENCY che è impegnato sulla nave Life Support
A cura di Michela Offredi
18 Dic 2024

Cos’è la nave Life Support e quante persone impegna?

«È un’ex nave commerciale, di una ventina di anni, riadattata per il soccorso di persone nel Mar Mediterraneo. La sua attività è iniziata a dicembre del 2022, anche se questa idea era nella testa di Gino Strada già alla chiusura di Mare nostrum. Sappiamo che quella del Mar Mediterraneo è una tratta di migrazione molto importante e pericolosa. L’attività è portata avanti da una trentina di persone. Nove fanno parte dell’equipaggio, che si occupa concretamente di gestire e muovere la nave. Poi ci sono una ventina di persone che fanno parte dello staff di EMERGENCY e alcun3 volontar3. A bordo c’è anche un ambulatorio sanitario gestito da un/a medico/a, due infermieri/e e due mediatori/trici culturali. L’attività si divide principalmente in due. C’è la fase di effettivo soccorso, che parte con le segnalazioni e termina con arrivo delle persone salvate a bordo. A quel punto viene avviata un’attività di accoglienza che prosegue fino a quando vengono sbarcate nel porto assegnato».

Come è stato l’anno che si sta concludendo? Qual è la situazione attuale?

«Ci sono diverse persone che tentano questa traversata. Molte volte si imbarcano senza nemmeno sapere dove stanno andando. Navigano su imbarcazioni di fortuna, che spesso hanno problemi tecnici e diverse non arrivano a destinazione. Il momento più caldo è quello estivo, durante il quale abbiamo fatto diversi soccorsi. In totale nelle 24 missioni realizzate da dicembre 2022, ossia da quando siamo in mare, ad agosto 2024 abbiamo soccorso 2.221 persone. La situazione attuale è esattamente quella che sempre è stata. Non viviamo un’emergenza, è un fenomeno presente da tanto tempo. Bisognerebbe trattarlo come tale. Soprattutto a livello comunicativo, viene descritto sempre con un tono emergenziale. Esiste a prescindere dalla nostra presenza. Tutta la civil fleet e le ong presenti in mare coprono meno del 10% del flusso migratorio. Questo è abbastanza significativo. Le persone scappano da un contesto di guerra, dal cambiamento climatico, dalla povertà. Come è sempre avvenuto nella storia dell’umanità, si spostano alla ricerca di una vita migliore».

Ogni viaggio porta con sé un bagaglio di umanità, storie, drammi. Credo sia impossibile raccontarli e ricordarli tutti, ma c’è un viso o un evento che le è rimasto impresso?

«Sono un infermiere, ho iniziato a lavorare con EMERGENCY in Afghanistan e ci sono rimasto per più di sette anni. Ho visto, toccato con mano quello che la guerra fa alle persone e quello che le porta a scappare da questi Paesi. Ho sempre pensato che quel periodo e quella realtà fossero stati, a livello emotivo, estremamente forti. Poi sono arrivato sulla Live Support e lì ho provato emozioni anche più grandi. Ci sono vari volti e persone che mi rimangono impresse, anche se quello che mi tocca sempre è come siano pronte a buttarsi in qualcosa che non ha nessun tipo di garanzie. È molto significativo per capire il loro livello di disperazione. Molti non hanno mai visto il mare, che per me è sempre stato un elemento positivo, legato alle vacanze. Sulla nave l’isolamento è totale, di notte il nero intorno è spaventoso. Nel momento in cui tu arrivi e trovi queste persone stipate, l’impatto emotivo è fortissimo. Fra i e le tante ricordo in modo particolare due ragazzi, due fratelli che scappavano dalla guerra in Sudan. Sono arrivati in Egitto, sono stati trattati come “poveracci” perché di colore, quindi sono scappati in Libia. Dopo aver cercato lavoro lì per tre mesi, la polizia ha tolto loro i passaporti e poi li arrestati. Sono rimasti sei mesi nelle carceri. Una volta usciti hanno preso un’imbarcazione e si sono diretti verso l’ignoto. Ho chiesto loro: Adesso cosa volete? Cosa state cercando? Semplicemente un posto dove stare tranquilli, un posto dove vivere in pace hanno risposto. La sensazione di euforia e di felicità che hai nel salvare le persone in mare, poi si affievolisce fino a diventare depressione pensando a quello che dovranno incontrare ancora, dall’Italia in poi. La situazione non è assolutamente accogliente».

Che responsabilità hanno l’Europa e l’Italia rispetto a queste vite?

«In termini generali torno a quanto detto prima: si continua a seguire una propaganda che vuole trattare questo fenomeno come un’emergenza. Bisogna cominciare a lavorare con meno ipocrisia, occupandosi davvero delle persone, iniziando a pianificare bene l’accoglienza e a pensare che possono essere anche delle risorse. Per tanti Stati del continente africano, ma anche per altri Paesi, è impossibile ottenere un visto regolare per arrivare, ad esempio, in Italia. Non hanno altra scelta, se non tentare la rischiosa traversata del Mediterraneo, finché le condizioni dei loro territori resteranno tali».

Lo scrittore Paolo Giordano nel podcast In viaggio non pregare (realizzato da Chora Media per EMERGENCY) afferma «Mi chiedo non tanto perché sono qui ora, ma perché non sono stato qui prima». Non tutt3 possono salire sulla nave. Credo però sia una domanda che, parlando di persone migranti, tant3 ci poniamo. Perché, pur sapendo di questa piaga, finiamo sempre per non occuparcene?

«Ho iniziato a lavorare per EMERGENCY 16 anni fa, pensando di fare un’esperienza di vita di sei mesi, con un inizio e una fine. Una volta che però tocchi con mano certe realtà è difficile venirne fuori. Non è più come guardare un documentario o un servizio al telegiornale. Non puoi girare canale e dimenticarti di quello che succede. Toccare con mano ti porta a sviluppare quell’empatia che spesso non c’è, quella che porta a pensare che queste persone sono come noi. Faremmo le stesse scelte se vivessimo nelle loro condizioni. Vengono da culture e realtà differenti ma alla fine sono esattamente come noi: cercano vite migliori, sperano di poter crescere i/le figli/ie e di fare una vita normale. La narrazione l3 rende lontan3 dalla verità e dalla realtà, come se fossero loro l’origine delle nostre difficoltà. Non dobbiamo né arrabbiarci né provare pena, perché entrambi gli atteggiamenti sono sterili, ma indignarci perché solo questo porta a voler cambiare le cose».

La nave fa un grandissimo lavoro in mare, ma l’attività di EMERGENCY a supporto di queste persone prosegue anche a terra.

«Lavoriamo nei contesti di guerra e povertà dai quali scappano, ma siamo operativ3 anche in Italia. Da più di 12 anni esiste il “Programma Italia” che prevede ambulatori socio-assistenziali, sparsi su tutto il territorio nazionale. Al loro interno un team, composto da un/a medico/a, un/a infermiere/a e un/a mediatore/trice, aiuta le persone a orientarsi per capire i loro diritti e come esser curati. Nel 2023 in Italia 9.715 persone si sono rivolte agli ambulatori di EMERGENCY per un totale di 42.525 prestazioni socio-sanitarie gratuite fornite».

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