L’indagine Istat-UNAR - Sul diversity management per le diversità LGBT+ nelle imprese

16 Mar 2021

Eugenia De Rosa e Valeria de Martino

Nel 2019 Istat e UNAR hanno realizzato, nell’ambito di un più ampio progetto di ricerca, un approfondimento sulle misure di diversity management (DM) per le diversità LGBT+ adottate dalle imprese con almeno 50 dipendenti dell’industria e dei servizi. Il modulo ad hoc, inserito occasionalmente nelle indagini ISTAT “Rilevazione mensile sull'occupazione, orari di lavoro, retribuzioni e costo del lavoro nelle grandi imprese” e “Indagine trimestrale su posti vacanti e ore lavorate”, ha ottenuto un buon tasso di risposta con oltre l’80% di imprese rispondenti. I dati dell’approfondimento mostrano come nel 2019, oltre un quinto delle imprese (pari a oltre 5.700 unità) ha adottato almeno una misura non obbligatoria per legge, con l’obiettivo di gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate a genere, età, cittadinanza, nazionalità e/o etnia, convinzioni religiose o disabilità. Gli ambiti prevalenti di applicazione sono la disabilità (15,9%) e il genere (12,7%); tali misure riguardano un’impresa su quattro fra quelle con almeno 500 dipendenti.

Sebbene tutte le imprese siano state chiamate a recepire le disposizioni contenute nella Legge 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà), solamente il 7,7% (pari a oltre duemila) si è trovata, dall’entrata in vigore della legge all’anno di effettuazione dell’intervista (2019), nelle condizioni concrete di applicare quanto previsto dalla legge (circa un’impresa su tre fra quelle con almeno 500 dipendenti). Per quanto riguarda le misure, ulteriori rispetto a quanto già stabilito per legge, volte a favorire l’inclusione dei lavoratori LGBT+, al 2019 solo il 5,1% delle imprese (pari a oltre mille imprese) ne ha adottata almeno una. La dimensione d’impresa rappresenta un fattore rilevante: si passa dal 4,4% per le imprese di 50-499 dipendenti al 14,6% per quelle di dimensioni maggiori. La quota di imprese che ha attuato il DM è più alta tra le imprese del Centro (17,9%) e nei settori dell’industria in senso stretto (15,8%) e dei servizi (14,2%). Invece, una minore diffusione riguarda le imprese costituitesi da più tempo.

Le misure più frequentemente attuate sono: possibilità per i lavoratori transgender di usare servizi igienici, spogliatoi, ecc. in modo coerente con la propria identità di genere (3,3% del totale e 7,8% delle imprese più grandi); realizzazione d’iniziative di promozione della cultura d’inclusione e valorizzazione delle diversità LGBT+ (2,1% del totale e 8,6% di quelle più grandi); iniziative che garantiscono ai lavoratori transgender il diritto di esprimere la loro identità di genere in maniera visibile (2% del totale e 6,8% di quelle più grandi). Seguono le misure ad hoc a tutela della privacy dei lavoratori transgender che hanno intrapreso il percorso di transizione prima di entrare nell’impresa (1,6%) e gli eventi formativi sui temi legati alle diversità LGBT+ rivolti al top management (1,3%) e ai lavoratori (1,2%). Anche per queste misure la diffusione è maggiore in imprese più grandi. Permessi, benefit e altre misure specifiche per i lavoratori LGBT+, in via aggiuntiva rispetto a quanto previsto per legge, sono invece stati adottati in maniera più residuale.

Gli strumenti di DM per le diversità LGBT+ risultano ancora poco utilizzati, fatta eccezione per la formalizzazione in uno o più documenti interni dell’adesione ai principi di non discriminazione e inclusione dei lavoratori LGBT+. Tale strumento è adottato dal 15,4% delle imprese con almeno 50 dipendenti (il 34,1% delle imprese con 500 dipendenti e più). Seguono la presenza di un’unità organizzativa (2,9%), di una figura professionale (1,9%) e il sostegno alle attività di un gruppo interno di lavoratori (1%) che si occupano anche delle diversità LGBT+. Tali voci raggiungono rispettivamente il 13,3%, 10,6% e 4,9% tra le imprese con almeno 500 dipendenti. 

Nel complesso il 18,5% delle imprese ha attuato almeno una misura o strumento a favore dei lavoratori LGBT+.

Guardando alle principali motivazioni che hanno spinto le imprese ad adottare misure o strumenti di DM per le diversità LGBT+, il motivo maggiormente indicato è prevenire atti discriminatori all’interno dell’impresa, segnalato da circa metà delle imprese. Il secondo motivo più diffuso, riportato dal 42,5% delle imprese, è favorire il benessere, la soddisfazione e la motivazione dei lavoratori. Le imprese con 50-499 dipendenti indicano più spesso, rispetto a quelle di dimensioni maggiori, la necessità di rafforzare lo spirito di gruppo, attrarre i lavoratori migliori indipendentemente dal loro orientamento sessuale o identità di genere e migliorare la reputazione e l’immagine dell’impresa. Solo il 2,9% delle imprese che non ha mai adottato misure o strumenti per le diversità LGBT+, non obbligatori per legge, pensa di attuarle nei prossimi tre anni.

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