L'ETÀ DELL'ORO (E DINTORNI)

02 Ott 2021

di Nicola Palmarini

Giusto un mese fa Repubblica titolava: “Vanessa Ferrari oltre il tempo e la storia: a trent’anni argento nel corpo libero”. Trent’anni, ovvero – s’intenda per chiarezza – vecchia. 

Contemporaneamente, sulla stessa testata, nell’articolo “Lo sentite l’urlo dei giovani?”Riccardo Luna celebrava la gioventù di Tamberi (29) e Jacobs (26), simboli di una generazione (quale?) del “cambiamo tutto”. 

Dalle pagine del Corriere gli faceva eco Antonio Polito: “Lo sport dispone di tutti e tre i fattori-chiave del successo nel mondo di oggi: è giovane, è inclusivo, è meritocratico”

Proviamo a capirci: Hend Zaza o Kokona Hiraki erano a Tokyo forti dei loro 12 anni, dunque, cosa sarebbero? Perché se loro fossero le “giovani”, tutti gli altri allora sarebbero irrimediabilmente “vecchi”. Senza tirare in ballo altri olimpionici come Kevin Durant (32), April Ross (39), Mary Hanna (64). Possiamo dunque dire che lo sport è “giovane” (e dunque per il sillogismo di Polito di “successo”)? La domanda è, ancora una volta: che cosa è “giovane”, cosa è “vecchio”? E, soprattutto, cosa aggiunge l’età a una narrazione? Valgono di più o di meno quelle medaglie? 

Lo chiedo a Luna e Polito (tra l’altro, autore di un bel saggio sull’invecchiamento) perché vorrei mi spiegassero come la vedono loro: dove si pone la linea che separa giovinezza e vecchiaia nello sport e, dunque, stando alla loro analogia, nella vita? 

I loro articoli sfruttano la giovinezza con quella fretta un po’ superficiale che ci ha portato fin qui, a celebrare ciò che giovane come buono, ciò che vecchio come cattivo, defunto in potenza ovvero socialmente ed economicamente inutile. 

Quella fretta un po’ di facciata che ho ritrovato durante “Next Gen It” un evento ammiccante (si può dire paraculo?) organizzato a inizio estate che racchiudeva in sé quella collezione di stereotipi che ha incorniciato l’errore di prospettiva innescato dal Next Generation Fund e che ha dato vita a un fraintendimento su “chi” sarebbe il futuro, a “chi” apparterrebbe il futuro, “chi” dovrebbe costruire il futuro e “chi” dovrebbe beneficiare di questo futuro. 

L’evento, organizzato da Repubblica, era demagogico e un tantino anacronistico perché cercava di celebrare “questo urlo” di ribellione dei giovani (Gianmarco Tamberi?) contro i vecchi (Vanessa Ferrari?), anziché provare, finalmente, ad andare oltre al consenso facile e suggerire una narrativa basata sull’osservazione della realtà demografica del pianeta, muovere un passo oltre questo sterile conflitto generazionale e lanciare l’unico messaggio di senso per disegnare il futuro che abbiamo davanti: farlo insieme. 

A mio avviso non è vero, come sostiene Polito, che “non faremo un altro «miracolo economico» senza i giovani”. Io credo che non lo faremo se non coinvolgeremo sistematicamente e con un progetto strategico “giovani” e “vecchi”. 

Soprattutto in Italia, secondo Paese più anziano al mondo! Nulla di cui vergognarsi. Anzi. Se avessero organizzato un festival dell’incontro e dello scambio tra generazioni, anziché la celebrazione di una non meglio precisata età giovane, forse avrebbero dato un consiglio, implicito ma strategico, a questo (e a molti altri) governi, suggerendo che il futuro non si disegna più pungolando l’ennesimo conflitto sociale o una guerra tra generazioni (secondo Stan Druckenmiller: c’è già stata e i ragazzi l’hanno persa), ma creando una piattaforma intergenerazionale capace di “mettere la freccia”, riunire un Paese di campanili (anche demografici) e far vedere al resto del mondo che il “next generation fund” in grado di plasmare la forma dell’innovazione dei prossimi cinquant’anni è fatto dall’All Generations Party. 

Mentre Orietta Berti, Ornella Vanoni e Gianni Morandi duettano con degli pseudo o veri giovani a sancire la sacrosanta verità che - in fondo - la vita è tutta un remix, solo un remix, nient’altro che un remix, Luna rilanciava una sorta di “giovinezza, primavera di bellezza”. È un testo che ha da sempre un certo traino, indipendentemente dalla musica che ci si metta sotto: che sia dei Led Zeppelin o del loro Euro-celebrato remix chiamato Måneskin. Nel suo pezzo sui valori giovanili dello sport Polito chiosava: “La nostra Costituzione, che pure come è noto è la più bella del mondo, non contiene nemmeno una volta la parola «sport»”. Non accorgendosi che nemmeno la parola “età” appare nell’articolo 3 della suddetta bellissima, laddove si parla di discriminazioni. Eppure anche questa discriminazione esiste, si chiama ageismo. È tanto diffusa quanto inconscia al punto che nessuno si prende la briga di combatterla. Anzi.

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