L’ETÀ DELLA BELLEZZA
La sala del Centro per Tutte le Età è buia, tranne che per la luce del proiettore e qualche fessura delle finestre mal tappata. Da fuori avrei pensato di essermi sbagliata non fosse stato per la musica: la proiezione era già iniziata. Le donne sono sedute all’interno, si scambiano qualche parola sottovoce, commentano, ridono e applaudono. La registrazione che stanno guardando è quella di un’opera che si può definire la “loro”, una reinterpretazione de La Favorita di Gaetano Donizetti, andata in scena a Bergamo il 15 novembre 2022 con la regia di Valentina Carrasco. L’opera, messa in scena senza censure e in francese (versione originale), colpisce molto per l’invenzione registica: appunto, le Favorite, protagoniste dell’intermezzo musicato, interpretate da donne più o meno anziane, attrici dilettanti. Oggi intervisto qualcuna di loro, due mesi dopo averle viste sul palco, quando hanno riscosso il loro primo, gigantesco, meritatissimo applauso.
Ho deciso di riportare esattamente le loro frasi (in corsivo virgolettato): anche se potrebbero sembrare eccessivamente colloquiali, anche se ci sono delle ripetizioni, delle sbavature, dei giri di parole. I motivi principali sono tre: primo, perché l’articolo è l’intervista. Le parole che contano in questo caso sono quelle di una chiacchierata. Secondo, la varietà del parlato riflette l’eterogeneità del gruppo: queste donne hanno vissuti e quindi linguaggi diversi, che sarebbe un peccato appiattire. Terzo, ciò che le Favorite hanno vissuto è stata soprattutto una grande esperienza umana. Nessuna di loro parla di concetti in astratto, ma in modo estremamente concreto e sensato di nipoti, di timidezza, di stare sul palcoscenico e di gestire le relazioni in gruppo, di scazzi e calze, di guardarsi allo specchio. Non c’è un modo pulito di parlare della vita.
La maggior parte di queste donne ha saputo del progetto attraverso il CTE, Centro per Tutte le Età, e la curiosità ha giocato un ruolo fondamentale per avvicinarle: “Ho pensato, andiamo là e vediamo cosa succede”, “Quando sono arrivata (alle selezioni), ho detto: le avete chieste vecchie? E io sono vecchia!”, dice Giulia, 82 anni.
Letizia, 60: “Pensavo: cercano delle figuranti, ma saranno delle belle statuine. Non credevo di stare venti minuti in scena con le altre”.
Per alcune, in questo passaggio è stata importante confrontarsi con la dimensione familiare: Dina, 84, dolce e composta, afferma: “I miei nipoti mi hanno detto: Nonna, dobbiamo copiare da te il coraggio.”; “I figli non capivano, il più grande mi ha detto: ma tu fai teatro tutti i giorni, non c’è bisogno che vai sul palco. Poi l’ho chiesto ai nipoti. La nipotina più grande, che ha 12 anni, mi ha detto: Nonna, non tutti possono andare sul palcoscenico, tu sei la più grande qua, devi fare quello che vuoi”, conclude Silvia, 71, con grande soddisfazione.
L’accettazione è stata alla base del lavoro di messa in scena: con regista e coreografo, nel gruppo e, infine, per ogni singola donna.
Riguardo il lavoro teatrale, Giusy, 66, afferma: “Io avevo questa cosa del voler fare le cose perfette - impossibile, perché non eravamo delle professioniste - c’era da accettare tanta roba”. Giulia: “Ci hanno detto: bisogna sempre andare avanti, e dire sì, va bene!”.
La realtà di gruppo è stata centrale: “Abbiamo vissuto due mesi a stretto contatto, è una dimensione che ha coinvolto anche la nostra vita. Vedi mutare le relazioni fra di noi, vedi mutare tante cose” dice Anna, 69. Leda: “All’inizio queste insofferenze, questi scazzi, arrivavo a casa stanchissima per l’avere a che fare con tutto questo mondo a cui non ero abituata. Man mano ho visto che vivere le persone in questo modo ti fa cambiare atteggiamento: le accetti per quello che sono perché le conosci veramente”.
Giulia: “Ho imparato a esprimermi e a dire la mia idea. Mi sono sentita amata”.
Come si sono sentite, queste donne coraggiose e appassionate, a portare i propri corpi in scena? Ognuna di loro l’ha vissuta in modo estremamente singolare. Valentina, 58, dice: “Per me all’inizio è stato un problema, ma mi sono detta: è questo che dobbiamo rappresentare, il corpo che è cambiato e non viene più accettato. Io sono una che d’estate a fatica va in giro senza maniche, per una volta ero orgogliosa della mia bandierina sotto il braccio.”
Leda, invece, afferma: “Nella vita tante volte mi guardo allo specchio e non mi piaccio, invece sul palcoscenico esattamente il contrario. Forse quello è stato, stare assieme sul palco con tutti i nostri difetti. Mi vedevo parte di un gruppo, la vecchiaia del corpo dimenticata.”
Per Anna “era funzionale il nostro esserci, con quel corpo lì, con le nostre perplessità: metto le calze, farà freddo, compriamoci le guainette, teniamo dentro le pance…”.
“Non sempre riesci ad accettare i vari passaggi, però poi ti dici: no, mi piace essere quella che sono, e vedere anche le altre. Noi in scena eravamo autentiche - afferma Giusy - Io, diciamo che un giorno mi accetto e il giorno dopo…”.
Maria, adulta, è piuttosto tranchante: “Chissenefrega. Io sono così. Siamo unici”.
Quando raccontano ciò che questa esperienza ha lasciato loro, le stesse esatta espressioni ricorrono nelle parole di almeno due donne: “Mi sono meravigliata di me stessa” e “Possiamo fare di più”. E per il futuro? Molte sono pronte a imbarcarsi in un’altra avventura. “Ci ha caricate in modo tale che ci farebbe pure volare!” Esclama Silvia con una risata.