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L’ANSIA DEL FUTURO LA SPERANZA DEL PRESENTE

GIOVANI - LANTERNA
A cura di Riccardo Argento
15 Set 2023

Nell’ambito della convivenza all’interno di una società una delle pratiche più difficili, forse, è mettersi nelle scarpe degli altri. Nello specifico, in quelle di altre generazioni. Questa difficoltà prende varie forme, ma quella che vogliamo evidenziare oggi ha due fronti precisi: come la società più “matura” vede i giovani (che per comodità identificheremo con gli under 30), che sono il futuro del nostro paese — e in generale della specie — e come i giovani vedono il proprio futuro, ovvero ciò che li aspetta.

Non si può pensare di smontare la retorica de “i giovani sono pigri” in un singolo articolo, ma possiamo concederci un momento di riflessione sul fenomeno. Cosa indica che siamo una generazione pigra, svogliata, irrispettosa e poco volenterosa? Uno degli indici più significativi, a quanto pare, è la scarsa attitudine al lavoro e al sacrificio, la quale però è sempre stata una cifra simbolo dei nostri genitori, nonni e bisnonni. I giovani d’oggi si rifiutano di fare la gavetta, sono arroganti, disdegnano di lavorare qualche straordinario che gli viene chiesto e hanno pretese che le generazioni precedenti di lavoratori non hanno mai avuto. E probabilmente chi dice queste cose ha ragione. In parte. Proviamo ora a cambiare prospettiva. Le condizioni socio-economiche sono mutate negli ultimi vent’anni. Circa il 70% delle aziende del settore turistico presenta irregolarità nei rapporti di lavoro, ha comunicato recentemente l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Non è l’unico, né il più problematico. Le assunzioni a tempo indeterminato sono un miraggio, gli straordinari quasi sempre non pagati, permessi e ferie neanche a parlarne, perché “serve sacrificio”.

Ma fin dove può arrivare questo sacrificio? Perché non sono solo i “giovani” a doverlo fare, ma anche persone con anni di lavoro e esperienza alle spalle cui viene richiesto di fare la stessa gavetta, magari con un contratto da stagista e un rimborso spese . I tempi sono cambiati e forse, noi, questi sacrifici non li vogliamo più fare.

È qui che entra in scena l’ansia dei giovani per il futuro. Un’ansia che è inquietudine, timore di non avere un posto nel mondo che stiamo ereditando. Siamo, nel bene e nel male, una Repubblica fondata sul lavoro e questo lavoro è un metro perfetto per misurare lo stato di salute del Paese. Diagnosi: gravemente malati. Il lavoro è il mezzo con cui definiamo le nostre vite, ma non possiamo dare per assoluta l’equazione vita = lavoro. Non viviamo per lavorare, lavoriamo per vivere in una società che è programmata così. Con tutto ciò che sta precipitando l’incertezza sul futuro si fa più acuta; si studia, si impara, ci si forma senza sapere se ci sarà, dopo, un posto anche per noi.

A questo si somma un’aspettativa, che è quella che abbiamo ereditato dai nostri genitori, di un impiego con un buono stipendio, una casa, una famiglia per chi la vuole. Abbiamo desideri e sogni che sono in parte gli stessi delle generazioni precedenti, senza i mezzi per esaudirli. E la responsabilità di ciò non è sicuramente nostra. Il tempo procede, nascono nuove sensibilità ma vengono ostacolate, dobbiamo combattere per diritti che credevamo sicuri, ci preoccupiamo per il futuro, ma portiamo con noi l’eredità di chi ci ha preceduto.

Questi sono i motivi di quella che chiamiamo “ansia” - termine simbolo della nostra generazione -, di giovani che devono maturare più degli adulti in sensibilità e lungimiranza. Ultima nel vaso rimane la speranza, ma solo verso noi stessi.

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