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La tentazione di addomesticare il futuro

A cura di Roberto Paura
25 Lug 2023

“Se il futuro fosse perfettamente prevedibile non potremmo cambiarlo, ma se non potessimo cambiarlo allora conoscerlo non ci servirebbe a nulla”.

Una frase del grande intellettuale Bertrand de Jouvenel, a cui dobbiamo la nascita dei moderni Futures Studies, recita: “Se il futuro fosse perfettamente prevedibile non potremmo cambiarlo, ma se non potessimo cambiarlo allora conoscerlo non ci servirebbe a nulla”. È una verità che spesso tendiamo a dimenticare, nonostante siano passati quasi cinquant’anni da quando fu pronunciata. All’epoca (siamo agli inizi degli anni Settanta) andava definitivamente in pezzi la convinzione che il futuro potesse essere perfettamente previsto perché non modificabile: un’eredità degli antichi (che parlavano di “destino”) e dei teologi cristiani (che parlano soprattutto di “volontà di Dio”). L’illuminismo e il positivismo abbandonarono il concetto di “destino”, ma non quello di un futuro unico e determinato, che la scoperta di nuove leggi scientifiche avrebbe permesso di prevedere. Era questo il grande sogno dei primi futurologi, che scorsero nelle leggi di fisica statistica (a fine Ottocento) e poi nella straordinaria capacità di calcolo dei computer (a metà del Novecento) la possibilità di realizzare quella utopia. Poi vennero la scoperta dei sistemi complessi, della teoria del caos, dei teoremi di Bell (che escludevano definitivamente la speranza di ricondurre la meccanica quantistica a una teoria deterministica) e anche la scienza si rese conto di aver preso un abbaglio. Aveva avuto invece ragione De Jouvenel quando, nel respingere il termine stesso “futurologia”, affermò che l’uso di questo termine porta a credere che le attività di previsione producano “risultati scientifici, mentre non possono esserlo, poiché l’avvenire non costituisce un campo di oggetti passivamente offerto alla nostra conoscenza”.

Eppure, oggi siamo ripiombati in un clima di ingenuo determinismo. La grande scoperta dell’esistenza di una pluralità di futuribili anziché di un unico futuro predeterminato sembra essere stata nuovamente dimenticata. Il posto della fisica statistica e dei primi calcolatori è stato ora assunto dalla scienza dei Big Data e dall’intelligenza artificiale. Di nuovo si torna a credere nella possibilità di ottenere una solida previsione del futuro. Nel suo recente libro If Then, Jill Lepore ci racconta la storia di Simulmatics, una compagnia oggi dimenticata che all’apice del sogno futurologico americano si convinse di poter costruire computer in grado di prevedere il comportamento dei consumatori, chi avrebbe vinto le elezioni, e persino l’esito della guerra del Vietnam. L’assunto di base è quello specificato nel titolo del libro: dati certi assunti di partenza (if), allora (then) avremo un determinato esito. Ricordare la storia di Simulmatics e del suo fallimento è tanto più utile oggi, dato che molte compagnie di Data Analysis sembrano seguire gli stessi passi, a partire dai giganti di Big Tech. Ma, come ci ricorda Lepore, poiché prevedere il futuro è impossibile, l’unico modo per far funzionare gli algoritmi predittivi è rendere gli esseri umani meno imprevedibili: “È per questo che Amazon, Google, Facebook e tutti gli altri stanno raccogliendo i vostri dati per nutrire i loro algoritmi: vogliono trasformare il vostro passato nel vostro futuro”.

Alla base di questo nuovo sogno (o incubo) c’è la fede nel datismo, ossia la convinzione – nelle parole dello storico Yuval Noah Harari – che “l’universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all’elaborazione di dati”. Ridurre gli esseri umani a elaboratori di informazioni e produttori di dati è il modo in cui le società tecnologiche cercano di minimizzare l’incertezza, con lo scopo di rendere il loro comportamento più prevedibile e il futuro più controllabile. Tutti noi siamo vittime più o meno consapevoli di questa tentazione perché tutti vogliamo ridurre l’incertezza del futuro, fino a preferire – come nel caso di una app come Replika – la compagnia di un’intelligenza artificiale a quella di un essere umano, perché più prevedibile e – soprattutto – più controllabile. Tuttavia dovremmo far attenzione a dove lontano può spingerci questa tentazione. Se prevedibilità vuol dire controllo, quanto più il nostro futuro sarà prevedibile tanto più sarà controllabile; e alla fine non sarà più il nostro futuro, ma quello di qualcun altro. Per parafrasare la grande pensatrice Simone Weil: “Il vincitore vive il proprio futuro, il vinto vive il futuro altrui”.

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