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LA SIBILLA CUMANA, UN ORACOLO AL FEMMINILE.

Interpretazioni e storie connesse al mito
A cura di Emanuele La Veglia
10 Mar 2023

In greco “kύμη” vuol dire onda, come quella che bagna la costa tirrenica dove i Greci si stanziarono nell’VIII secolo a. C. Una terra sismica, soggetta a fenomeni geologici unici nel loro genere. Siamo infatti nella zona flegrea (dal greco “flego” ossia bruciare), caratterizzata dalla presenza della Solfatara, un apparato vulcanico che consiste nell’emissione di vapori. In poche battute emerge subito come la storia della Sibilla Cumana interessi l’aria, l’acqua, il fuoco e soprattutto la terra.

D’altronde è un percorso vero, reale, concreto a condurre nell’antro che, secondo la mitologia classica, ospitava la sacerdotessa di Apollo. Che oggi si vada lì per un giro turistico, per una passeggiata romantica, per un’escursione fuori porta o per un responso, poco importa. L’aspetto che più colpisce è la forte caratterizzazione femminile della faccenda. Sì, perché la galleria, rinvenuta dall’archeologo Amedeo Maiuri nel 1932, ha la forma inequivocabile di una vulva.

Per cui dinanzi a una siffatta opera - del tutto naturale - si snoda un interessante aspetto, legato ai temi d’attualità. Come ci insegna l’agenda 2030, la sostenibilità può essere sia sociale che ambientale e lì, in quell’antro, ritroviamo entrambe le componenti. Le prime a sottolinearlo furono le Nemesiache, il gruppo femminista fondato dall’artista Lina Mangiacapre, morta nel 2002. Erano gli anni ’60, era in atto una rivoluzione nel Paese e nuove istanze emergevano con vigore e, come si legge negli archivi della Biblioteca Nazionale di Napoli, le Nemesiache erano “artiste eclettiche” e amavano ricollegarsi alle declinazioni mitologiche del territorio, con “continui riferimenti” a Cuma.

Campi Flegrei

Scavato nel tufo tra il IV e il III secolo a. C. l’antro assumeva inizialmente la forma di un trapezio, incastonato nella cinta posta a protezione dell’insediamento all’epoca controllato dai Sanniti. Con il progressivo abbassamento del piano superiore si è avuta la conformazione attuale. Con l’arrivo dei Romani furono ricavati, lungo le due pareti delle cisterne, con l’acqua che ritornava a scorrere e a dominare la scena. Il cuore tuttavia rimaneva la terra, in particolare dei morti, perché oltre a essere luogo noto per i vaticini, l’antro venne adibito a sepoltura.

Reso celebre da Virgilio nel sesto libro dell’Eneide, il corridoio è lungo ben 131 metri e mezzo, largo poco più di due e alto cinque. Ci possono entrare poche persone per volta, quasi a rispettare la ritualità strettamente connessa con il dio Apollo, il cui tempio era costruito al di sopra della galleria. Quest’ultima è situata in un immenso parco archeologico con le terrazze panoramiche, il Foro, i resti delle torri di difesa e di vari edifici religiosi. Una meta imperdibile per chi si trattiene più tempo in Campania e vuole proseguire oltre gli itinerari più noti come Pompei e Ercolano, la costiera amalfitana, Sorrento e le isole, Procida, Ischia, Capri.

Cosa abbia significato davvero il cunicolo nel corso del tempo è un mistero in continuo svelamento, d’altronde è passato appena un secolo dalla campagna di scavi voluta da Maiuri. Secondo leggende circolanti da millenni, la Sibilla sarebbe stata una donna follemente innamorata di Apollo al quale chiese l’immortalità, dimenticando di chiedere l’eterna giovinezza. E così invecchiò sempre di più fino a scomparire e di lei rimase solo la voce.

Altra sua dimora, secondo le fonti, sarebbe stato il lago d’Averno, collegamento con il regno dell’Ade, l’inferno e dunque riecco il fuoco, le fiamme. Un ardore che oltre ad avere le fattezze di uno dei quattro elementi è, parallelamente, metaforico. Già, perché in un momento storico che dura ormai da troppo tempo in cui soltanto gli uomini dettano legge, brilla come una stella quasi isolata l’idea di una donna, la Sibilla, in grado di dare responsi a cui tutti devono attenersi. Sentenze pesanti e a volte difficili da interpretare, da qui l’aggettivo “sibillini”. Un segno – forse – che quando le donne rompono il tetto di cristallo sanno farsi sentire, producendo opere complesse e di grande ingegno. E non è un caso che tutto ciò sia successo a meno di venti chilometri da Napoli, originariamente detta Partenope, dal nome dell’omonima sirena che ritroviamo negli scritti di Esiodo e di Apollonio Rodio.

Insomma, ancora una volta, una figura femminile a cui si collega peraltro il disegno fusiforme della vagina che nel 1972 è stato scoperto a Cuma dall’Unione Astrofili Napoletani. Una serie di tacche verticali disegnano un calendario lunare e un inno alla fertilità. Perché in fondo la terra, inequivocabilmente femminile, è ciò che dà vita a tutta l’umanità.

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