Privilegi e alleanze

La rotta balcanica

Intervista a Diego Saccora, operatore sociale e attivista, parte dell’associazione Lungo la Rotta Balcanica.
A cura di Marta Bello
18 Dic 2024

Come funziona la rotta balcanica?

La rotta balcanica rappresenta un percorso migratorio complesso, composto da diverse vie, terrestri e marittime, e non è un fenomeno recente. Nel 2015, la crisi in Medio Oriente dovuta a conflitti armati, ha spinto centinaia di migliaia di persone a cercare di raggiungere l’Europa. Un evento significativo è stato il drammatico annegamento di Alan Kurdi, un bambino kurdo-siriano di 5 anni, mentre tentava di raggiungere le isole greche. In risposta a questa crisi venne aperto un canale umanitario che consentì l’ingresso di oltre un milione di persone nei paesi europei. Tutto cambiò nel marzo 2016, quando l’Unione Europea decise di siglare un accordo con la Turchia, destinando 6 miliardi di euro affinché il paese bloccasse il passaggio alle persone. Di conseguenza, le frontiere vennero richiuse e il canale umanitario interrotto. Da quel momento, la rotta balcanica ha cominciato a essere associata al traffico di esseri umani, caratterizzandosi per spostamenti non legali e pericolosi. La politica migratoria dall’inizio del 2016 si è focalizzata sulla deterrenza, cercando di fermare i flussi migratori per cui sono stati creati ben 90 campi - che hanno spesso più le caratteristiche di centri detentivi piuttosto che di accoglienza - nell’Europa dell’Est, che trasformano la vita delle persone in movimento in un ciclo di illegalità e confino che le soffoca. Inoltre, l’agenzia Frontex ha implementato nuove misure di controllo, aumentando la sorveglianza e le barriere fisiche. Le persone che intraprendono questo viaggio provengono da diverse nazioni, tra cui Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Iran, e anche da paesi dell’Africa subsahariana e del Nord Africa, come Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto. La scelta di molti migranti di percorrere questa rotta è spesso legata alle offerte di agenzie di traffico, poiché non hanno accesso a canali legali per viaggiare. Così, il loro spostamento diventa quasi un obbligo, e non una scelta. Questo percorso è classista: i costi sono elevati e chi ha più risorse può viaggiare più rapidamente e in sicurezza, mentre chi ha meno è costrettǝ a fermarsi o ad affrontare tratte molto più rischiose. La disparità di trattamento sulla base del Paese in cui si è natɜ, evidenzia un sistema basato su disuguaglianze e privilegi.

Com’è la situazione attuale dei respingimenti?

È un fenomeno intrinseco alla rotta balcanica. Nonostante il principio di non refoulement, sancito dalla Convenzione di Ginevra, i respingimenti si verificano in tutte le frontiere. La maggior parte avviene tra paesi dell’Unione Europea e stati non membri, spesso attraverso un processo a catena: una persona può essere respinta da uno stato a un altro, fino a quattro volte.Queste operazioni, che spesso si basano su accordi bilaterali, risultano frequentemente illegali. Il principio di asilo, che tutela i diritti individuali, vieta i respingimenti di gruppo, poiché ogni richiesta deve essere esaminata singolarmente. Inoltre, spesso non vengono rilasciati documenti ufficiali che attestino il respingimento, impedendo così alle persone di contestare legalmente tali decisioni. Queste pratiche mirano a invisibilizzare, criminalizzare e normalizzare la situazione. 

Hai qualche esempio positivo di comunità locali, associazione o volontar3 che sono diventat3 alleat3 delle persone in movimento e hanno scelto la via della solidarietà?

Sì, ho visto molte comunità locali trasformarsi in associazioni, come ad Atene, dove diverse organizzazioni di volontariato sono diventate ONG e spesso coinvolgono richiedenti asilo e rifugiatɜ, creando un importante scambio.
Un altro esempio è in Bosnia e Herzegovina, dove la cittadinanza attiva si è organizzata dal basso per supportare le persone in transito. A Trieste, dal 2020, in Piazza della Libertà, di fronte alla stazione dei treni, è nato quello che inizialmente era un gruppo informale e che presiedeva lì, che è poi diventato l’associazione Linea d’Ombra. Questo presidio all’aperto ha attratto nel tempo altre organizzazioni e cittadinɜ, creando uno spazio di scambio con le persone in transito dell’area balcanica, a cui offrono supporto e assistenza nella prima accoglienza. Tutte queste persone alleate devono affrontare una forte criminalizzazione e pressione sociale.

Ti va di raccontarmi un momento particolarmente significativo che hai vissuto in questi anni?

Ci sono due episodi che vorrei condividere. Il primo risale al 2020, subito dopo il primo lockdown. Io e la mia compagna eravamo in Grecia e ci siamo imbattutɜ in due famiglie afghane appena respinte alla frontiera tra Grecia e Macedonia, ferme sull’asfalto con una temperatura di circa 40 gradi. Tra loro c’erano donne incinte e bambinɜ piccolɜ. A un certo punto è arrivata la polizia che probabilmente lɜ avrebbe riportatɜ a Salonicco, cosa che non volevano. Così abbiamo pagato un taxi per tuttɜ, evitando la consegna alla polizia. Un mese dopo, ci trovavamo nel campo di Moria, a Lesbo, e abbiamo riconosciuto una delle donne incinte che avevamo aiutato. Era tornata nel campo ritenuto il peggiore d’Europa perché aveva finito i soldi e l’unico supporto che aveva era la sua famiglia che aveva una tenda lì. Le rotte migratorie sono molto più complesse e di ciò che immaginiamo e non si limitano a un semplice spostamento da un punto A a un punto B; implicano andate e ritorni, detenzioni e deportazioni, specialmente per chi viaggia con bambinɜ o in condizioni vulnerabili.
L’altro momento significativo è avvenuto un mese fa, durante i funerali di due giovani siriani, uno di 15 anni e l’altro di 20, tra i 12 annegati nel fiume Drina, al confine tra Bosnia e Serbia, il 22 agosto; ironia della sorte, il giorno del mio compleanno. La barca su cui viaggiavano si è ribaltata per il troppo peso, causando la morte di 12 persone. Dieci corpi sono stati trovati sulla sponda serba, due sulla sponda bosniaca. Ho partecipato ai funerali, organizzati da una piccola comunità di sopravvissuti al genocidio di Srebrenica. È stato un momento molto difficile e toccante. Ero l’unico europeo presente, le famiglie dei due ragazzi erano collegate in videochiamata. Il funerale è stato possibile grazie a una raccolta fondi della comunità locale, sono momenti di grande dolore ma anche di grande rabbia perché è evidente l’invisibilità della vita di queste persone. Muoiono attraversando un fiume che io posso percorrere serenamente sul ponte in auto grazie al mio passaporto.È fondamentale continuare a parlare di queste ingiustizie e dimostrare che qualcunǝ si interessa di loro.

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