La potenza delle parole

24 Nov 2020

A cura della Redazione

Quando penso al linguaggio, riaffiora subito nella mia mente l’immagine di Igor Suran, Direttore esecutivo di Parks, sul palco del teatro Alfieri, un piccolo cinema-teatro di Firenze divenuto ormai il luogo simbolo del percorso di Diversità e Inclusione di Findomestic.  

Era il 9 ottobre 2019, Firenze… Iniziava la settimana della D&I: cinque giornate in cui il Gruppo BNP Paribas celebra annualmente la diversità in tutte le sue forme attraverso incontri, eventi, articoli, post sui social. Per la prima volta presentiamo Parks ai nostri collaboratori: Igor Suran sale sul palco, con personalità magnetica, grandiosa eloquenza ed empatia e, solo davanti a 150 persone, inizia il monologo da lui scritto: “Le parole che escludono”. Attraverso un percorso che analizza parole del linguaggio comune quali “tollerare”, “accettare”, “ostentare”, “normale” la riflessione che Igor invita a fare arriva come una lama tagliente al nostro cuore e alle nostre menti. Si può tollerare un essere umano per il solo fatto di possedere un orientamento affettivo diverso dal proprio? Perché chi ha un orientamento affettivo diverso dal mio lo ostenta e io penso di non farlo? Perchè faccio parte di una famiglia “normale”? Pian piano si insinua nella mente il dubbio di aver spesso utilizzato, inconsapevolmente, termini della lingua italiana senza essermi resa conto del loro potere devastante: semplici parole, corrette dal punto di vista etimologico e linguistico, ma armi pericolose se utilizzate indistintamente e non contestualizzate. Perché posso definire la mia vita familiare normale? Solo perché sono eterosessuale, ho marito e figli? Perché non mi pongo il problema di essere accettata o, peggio, tollerata? Igor procede con il monologo, io osservo i volti dei presenti rapiti dalle parole e dalle profonde riflessioni che induce: riflessioni su noi stessi, sulle nostre abitudini ataviche, sulla nostra educazione e sul nostro modo di essere. Di fronte alle parole di Igor siamo messe e messi  a nudo, con fragilità e debolezze. 

Roma, 19 novembre…

Milano, 26 novembre...

 La storia si ripete. Volti assorti, rapiti dalle parole del relatore. Ad un certo punto una collega alza la mano e tutti noi pensiamo voglia intervenire nel dibattito. Invece,con semplicità disarmante, dice: “Ti posso abbracciare?” E ricevuta risposta affermativa, si alza e si lancia verso Igor, profondamente commossa; altrettanto fanno altri colleghi, uniti in un grande abbraccio collettivo.

Come Igor Suran spiega: tutti siamo vittime dei nostri stessi pregiudizi; non dobbiamo averne paura ma cercarli dentro di noi, individuarli, riconoscerli.  È già un grande passo: non negare bias e paure verso ciò che è diverso.. Il passo successivo sarà  avvicinarsi a ciò che sembra diverso e fa paura, comprenderlo, conoscerlo, osservarlo da un altro punto di vista. Proprio qui risiede la forza dell’inclusione: ammettere i nostri pregiudizi e provare a trasformarli in una grande opportunità di crescita e di arricchimento personale. Ho tratto una grande lezione dai preziosi insegnamenti di Igor Suran: ho iniziato a riflettere sulla potenza delle parole, grandissima capacità dell’essere umano, ma al contempo  una forza devastante e pericolosa.

Come donna non dovrebbe essere difficile comprendere quanto le parole possano ferire, sminuire, ridicolizzare, annientare..  Siamo vittime da secoli di un linguaggio che discrimina e ferisce, un linguaggio che fa parte ormai del vivere quotidiano tanto da non dare più peso alle “battute” che abbiano o meno una connotazione sessista. Durante un evento organizzato in collaborazione con Artemisia, centro antiviolenza di Firenze, è stato proiettato un video pieno di commenti a sfondo sessista pronunciate da donne, uomini, bambini, giovani e meno giovani: un susseguirsi rapido e implacabile di frasi di uso comune (“ma come sei vestita?”, “smetti di piangere, sei un maschietto e i maschi non piangono”, “sembri una femminuccia”….), semplici nel costrutto ma cariche di crudeltà, rabbia, violenza. Una violenza che ha colpito tutti presenti, uomini e donne indistintamente.

Dopo queste esperienze abbiamo pensato di introdurre in azienda un momento di confronto sull’utilizzo del linguaggio che ha coinvolto, in primis, il Comitato di Direzione e che, ora, è stato esteso a trecento manager. L’incontro ha lo scopo di invitare a riflettere sulla potenza del linguaggio e sulla sua pericolosità quando non utilizzato correttamente: occorre prestare attenzione alle parole che si utilizzano e riflettere sulle ricadute che esse hanno sul nostro interlocutore. Le ricadute possono essere devastanti. 

Le parole per giocare: nelle campagne social che hanno accompagnato le ultime due edizioni della Settimana della Diversity & Inclusion, abbiamo volutamente scelto un linguaggio provocatorio, che rinvia a stereotipi e pregiudizi comuni, ampiamente diffusi nella nostra quotidianità.

Ecco  la campagna lanciata nella Settimana D&I del 2019:

“Due papà e un bambino non sono una famiglia. Vai oltre.”

“Una donna deve stare ai fornelli. Vai oltre.”

“La disabilità invisibile è una scusa. Vai oltre.”

“Sono omosessuale? Non lo sono?  È davvero importante saperlo? O è più importante l'impegno, la passione e il rispetto che metto nel mio lavoro? In Findomestic non ci fermiamo ai pregiudizi, andiamo oltre”Un chiaro invito ad andare oltre le apparenze, oltre i pregiudizi.

Quest’anno abbiamo proseguito sullo stesso filone puntando, ancora di più, sulla scelta delle parole per scatenare reazioni:

Cerchiamo Digital Collaboration System Specialist maschio, bianco, eterosessuale, sposato. Assurdo, vero? Ecco, ci piace immaginare un futuro in cui sia davvero inconcepibile. Se pensi di avere le qualità per il ruolo, ma non accetti che una ricerca di lavoro possa dimenticare il valore dell'essere umani e diversi, Findomestic è il posto giusto per te.”

Cerchiamo IT Governance Specialist settentrionale, normodotato, giovane e di buona famiglia. Scommettiamo che leggere questo annuncio ti disturba. Anche a noi, perché da sempre consideriamo le differenze come un elemento che invece di dividere,  unisce e arricchisce.”

Una campagna che ha dato riscontri molto positivo, pur non  mancando reazioni  negative, talvolta forti. Abbiamo raggiunto l’obiettivo: invitare a riflettere sulla potenza del linguaggio verbale. Una mission che continueremo a perseguire affinché il linguaggio possa diventare un ponte, un collegamento tra le persone, un legame fondato sul rispetto reciproco e sulla volontà di superare le barriere che a volte, anche inconsapevolmente, dividono. 

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