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LA NEURODIVERSITÀ IN FAMIGLIA

A cura di Tommaso Davi
24 Giu 2024

“Oggi ho saputo che sono una persona con autismo” tra qualche anno questa frase potrebbe essere parte di una normale conversazione fra alcuni familiari più di quanto già lo è ora, e non solo nel caso dell’autismo, ma di molte altre neuro-divergenze, come ad esempio le diversità dell’apprendimento; discalculia, dislessia oppure l’ADHD (ovvero il deficit della attenzione ed iperattività), solo per citarne alcune fra le più diffuse.

Questo scenario sarà presto realtà stando all’incremento delle possibilità e dell’interesse dei ragazzi e delle ragazze contemporanei/e di informarsi ed educarsi in merito alle tematiche legate alla neuro-diversità, al funzionamento del proprio cervello e della salute mentale. Invero la neuro-diversità fa parte del genere umano sin dalla preistoria, e senza di essa le strutture sociali non si sarebbero mai potute evolvere nella forma contemporanea. Pensiamo a come, ad esempio, “La Famiglia” non sia mai stata, sin dal principio, la struttura sociale più semplice, ma, da quanto sappiamo, spesso l’individuo era parte di una struttura ben più grande, ovvero la tribù. Questo già prima dell’età del bronzo, e tendenzialmente all’interno di questa prevalevano gerarchie organizzate per funzioni sociali.

Nella tribù, pertanto, c’era chi provvedeva alla caccia, chi alla cura delle altre persone, chi all’agricoltura, ognuno/a secondo le proprie abilità e inclinazioni legate a stretto filo con i singoli e personali funzionamenti cognitivi. Era, ad esempio, il caso di individui con autismo che potevano eccellere nel procacciare cibo grazie alla capacità di riconoscere e memorizzare i dettagli del comportamento della flora e fauna, contando su sensi più acuti, così da procurare quanto di più commestibile e nutriente e preservare la selvaggina per la sussistenza della tribù a seconda del variare delle stagioni.

In questa forma di organizzazione sociale, le diversità acquisivano non un elemento di esclusione, deficitario o patologico, bensì un enorme valore per la sussistenza della tribù e veniva esercitata una vera e propria attività collettiva di cura dei membri della stessa, senza distinzioni. Questo perché ognuno e ognuna di essi/e era in grado di svolgere una funzione specifica necessaria alla sussistenza della tribù stessa.

Come allora lo era la tribù, “La Famiglia” in qualsiasi sua forma e declinazione oggi, sia essa quella d’origine, di fatto, formata da persone sole, o dello stesso sesso, oppure disabili e/o neuro-divergenti, sta diventando sempre di più il primo contesto in cui si fanno consapevolmente o inconsapevolmente le prime esperienze di diversità, sia essa cognitiva, sensoriale, temporanea, permanente o di altra natura; oltre alle esperienze legate al lavoro di cura.

Nel caso delle diversità legate al cervello, la conferma di questi crescenti fenomeni è evidente se guardiamo al notevole incremento di accesso a percorsi di diagnosi e alle crescenti domande per accedere ai servizi legati alla salute mentale. Non solo: la particolare attenzione delle generazioni più giovani a questo tema sui social media dimostra un interesse senza precedenti. In Italia, ad esempio, le richieste nel 2022 per ottenere il bonus psicologo appena fu varato dal governo a sostengo delle spese per intraprendere sedute di terapia psicologica, erano già di oltre 400.000.Non sempre, però, avviene l’accesso a tali servizi, in quanto “La Diversità”, in particolare quella cognitiva e sensoriale in famiglia, spesso diventa il motivo per cui si creano anche incomprensioni. “Scandali”, aspettative che vengono disattese, oppure si cerca a tutti i costi di nascondere e non parlare di ciò che è diverso perché si ha paura che non sia socialmente accettabile, o a rischio di esclusione. Così si perseguono forme di mascheramento anche all’interno del nucleo familiare, come nei casi di diversità della salute mentale o neuro-divergenze.

Da una parte questa dinamica, unita alle difficoltà di accesso a servizi idonei, soprattutto oggi nel sud Italia, è una delle principali cause per cui le persone neuro divergenti subiscono esclusione sociale nel corso della loro vita, e che non permette alla persona di trovare nella famiglia un supporto per sviluppare la sua autonomia, autostima e opportunità di comprensione.

Pertanto, già nell’età scolare in assenza di questi presupposti può avvenire l’abbandono di percorsi di studio, che conseguentemente precludono opportunità di accedere al mondo del lavoro. Quando ciò avviene in contesti sociali svantaggiati, vi è un elevato rischio di perseguire anche percorsi di criminalità, trovandosi soli/e nella necessità di sopravvivere.

La Famiglia italiana oggi, pertanto, non può prescindere da fungere come primo contesto sociale al fine di educare e non mascherare in merito alla diversità e al lavoro di cura. Deve porsi così come garante di una società più equa, in tutte le sue forme pubbliche e private. Se eravamo capaci di fare ciò già nella preistoria perché non dovremmo esserlo oggi?

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