Confinilinguelinguaggio e paroleeducazione

LA LINGUA CHE ABBATTE I CONFINI

A cura di Emanuele La Veglia
03 Gen 2024

Il latino tra passato, presente e… futuro

Sine finibus. Senza confini. La prospettiva del mondo che vorremmo, senza divisioni: un auspicio più che mai attuale. “Imagine there's no countries” cantava John Lennon all’inizio degli anni ‘70... Effettivamente la forza dell’inglese, nella musica così come in politica, riesce a tenere assieme anime diverse. Eppure, c’è un’altra lingua che per secoli ha unito buona parte del nostro pianeta, ponendo le basi addirittura per un impero. 

Stiamo parlando del latino che ha subito in tempi recenti l’etichetta di “lingua morta”. Un processo di labeling e di stereotipizzazione che prende ad oggetto un patrimonio millenario di tradizioni, di termini e costrutti che possono rappresentare una bussola senza tempo. Una conoscenza che va ripresa e – perché no – rinnovata.

“In varietate concordia” è il motto dell’Unione Europea: unire nella diversità, un concetto complesso che, come tanti altri, è reso perfettamente dal latino. E c’è un’immagine che rende chiare e visibili queste parole, con popoli tra loro diversi che possono ritrovarsi sotto un comune apparato di valori. 

Chiudiamo gli occhi e immaginiamo tante persone che, dotate di qualità canore e degli strumenti più disparati, recuperano testi antichi per metterli in musica, utilizzando motivi popolari. Stiamo parlando di qualcosa di reale, il coro del Tyrtarion, che propone una selezione di poesie latine e greche avvicinandole a un pubblico il più possibile ampio.

La bellezza dei versi di Catullo, o di Ovidio, e il ritmo con cui sono studiati, elemento che spesso la carta di libri e volumi non riesce a rendere. La sfida, allora, è quella di tornare a far parlare opere celebri che hanno tanto da insegnare. Ed è quello che, dagli anni Novanta, si propone di fare l’Accademia Vivarium Novum, in seno alla quale nasce appunto il Tyrtarion.

Nel bucolico scenario di villa Falconieri, a Frascati, si svolgono i corsi annuali e quelli estivi che coinvolgono tante anime diverse, provenienti da tutto il globo. Il latino si può imparare come si apprende l’inglese a Oxford: attraverso la conversazione. Sia a tavola che in camera, le lingue moderne sono bandite e bisogna sforzarsi a recuperare idiomi ed espressioni in voga nell’antica Roma. Una macchina organizzativa che comprende istruzione e ricerca e che non rimane chiusa in sé stessa ma si apre all’esterno, tramite convegni su vari argomenti.

La prospettiva è quella di un Campus Mondiale dell’Umanesimo che parte dal Lazio, regione dove si originò una delle civiltà più prospere della Terra. Lo ha detto di recente Alberto Angela in un video che ha girato molto sui social: c’è tanto di romano nella nostra quotidianità, dal diritto alle strutture fisiche, strade e acquedotti. 

D’altronde il latino, soprattutto al liceo, costituisce buona parte della settimana di studenti e studentesse e può essere preso come guida e riferimento. Pensiamo alla sua organizzazione, sempre per generi: maschile, femminile e neutro. Esempio lampante gli aggettivi declinati in maniera trasversale, considerando dunque i sostantivi ai quali verranno accordati. Un’attenzione che, successivamente, è sfumata via.

Riscoprendo le origini dei luoghi in cui abitiamo ci ritroviamo fratelli e sorelle. Apprendiamo magari come il rumeno, parlato nella cosiddetta Europa dell’Est, sia neolatino. Rivelazioni che possono risultare più o meno ovvie, ma d’altronde è solo nello studio che abbattiamo veramente i confini. Ci sono concetti che a volta l’italiano fa fatica a racchiudere in una sola emissione di voce. Mentre latino, e greco, ci riescono eccome. Pensiamo alla ὕβρις, l’aspirazione degli uomini tracotanti ad essere uguali agli dèi, oppure alla pietas che non è traducibile con pietà ma riguarda il sentimento religioso e in generale di attaccamento, inevitabile, alla propria terra. 

Per riprendere il Tyrtarion, c’è un bellissimo pezzo che fa da chiosa perfetta per le loro esibizioni, reperibili su Spotify e Youtube. Sì, perché tecnologia e discipline umanistiche possono incontrarsi e far tornare in voga echi lontani. E così, accendendo il computer o lo smartphone, ecco partire il “Corda Fratres”, inno composto dal poeta Giovanni Pascoli nel 1898. Una data più vicina a noi, a dimostrazione dell’immortalità di certi discorsi. 

Vi troviamo scritto: “adsumus non ora nec linguam genusve consimiles, nisi corda fratres”. Ossia: non siamo simili per i volti, per la lingua o per la stirpe, ma i nostri cuori sono… fratelli. E non bisogna aggiungere altro.

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