LA LEGGE DEL CIBO
Dura lex sed lex, la legge è dura ma è legge. Questa frase, attribuita al grande Socrate, è arrivata a noi viaggiando dal lontano III secolo a.C. Ha fatto sicuramente la storia – intendiamoci - ma non mostra il lato “buono” della legge. Il diritto è cosa viva, l’alleato di cui abbiamo bisogno in un mondo così complesso. La scienza ci dice che per salvare il nostro pianeta dobbiamo cambiare le nostre abitudini, i processi produttivi. Le norme ci aiutano a raggiungere l’obiettivo, soprattutto ora che il tempo stringe.
Accanto agli attivisti, alle donne e uomini di scienza, tra i supereroi dei nostri giorni ci sono anche i giuristi. Come la Dr. Mirta Alessandrini, Lecturer & Researcher in Food Law presso Wageningen University & Research nei Paesi Bassi, la quale ha fatto del diritto agroalimentare la sua missione, oltre che professione.
Che cosa è il Green Deal e perché è importante per il pianeta?
È una politica economica europea ad ampio respiro, il cui obiettivo è trasformare l’UE nella prima economia a zero emissioni e che investe i settori economici della nostra vita, tra cui il settore agroalimentare governato dalla Farm to Fork Strategy. La Farm to Fork Strategy pone degli obiettivi di sostenibilità precisi ma molto ambizioni, tra cui ridurre l’utilizzo di pesticidi e degli antibiotici nell’allevamento di animali, ampliare utilizzo dell’agricoltura biologica. Mi ritengo a favore dell’applicazione di queste norme che però vanno monitorate. La politica la pensa diversamente. Gli Stati Membri rallentano l’applicazione della Farm to Fork sulla base di questo ragionamento: se passiamo al biologico e riduciamo l’uso di pesticidi produrremo molto meno, in questo caso le persone non avranno accesso al cibo. Ma questa è una visione assolutamente semplicistica. Sono infatti previsti dei meccanismi che fanno in modo che non si arrivi mai ad una situazione di insicurezza alimentare in più è il momento di agire adesso a causa del climate change. Non possiamo più tardare.
Quali sono questi meccanismi?
Come detto prima, le norme vanno applicate ma monitorate. Ad esempio, è stato istituto un Contigency Plan per assicurare la Food supply and food security in the event of future crisis. Si prevede la costituzione di un gruppo di lavoro che si attiva per evitare che in situazioni di eventuali crisi (a causa di guerra, pandemia, ecc.) ci siano problemi di accesso al cibo. Inoltre, l’UE ha competenza concorrente sulla politica agricola comune (PAC). Ciò vuol dire che sia UE che i Paesi membri, in presenza di determinate condizioni, possono agire legalmente per regolare determinate aree di intervento. Nel caso dell’agricoltura, a seguito della PAC 2023 la normativa è diventata molto flessibile. Dal 1 gennaio 2023 entra in vigore il nuovo regolamento della PAC che vedrà gli Stati Membri attori principali nella transizione verso la sostenibilità. Infatti ad ogni Stato è stata richiesta la redazione di un piano strategico sull’allocazione dei fondi per raggiungere gli obiettivi della Farm to Fork in un modo che meglio corrisponda ai bisogni dei propri agricoltori. Tra le altre cose, questo aiuterebbe a limitare anche il richiesto di food insecurity.
Quali sono gli standard che prevede la Farm to Fork?
Dalla fine di anni ‘90 in poi si è sempre e solo parlato di sicurezza alimentare (igiene). Ora per la prima volta si parlerà anche di sostenibilità. Gli standard di sostenibilità di aggiungono a quelli di sicurezza alimentare. La cosa problematica è che nel secondo caso abbiamo dei dati scientifici molto chiari che ci guidano nella individuazione degli standard, ma nel primo caso non abbiamo una definizione normativa di sostenibilità, né europea né internazionale. Lo sviluppo di un quadro normativo di sostenibilità alimentare, ossia un regolamento che vada a individuare quando il prodotto è sostenibile e potrà quindi essere immesso sul mercato; è dunque uno degli obiettivi più ambiziosi che si pone la Farm to Fork Strategy. Siamo in attesa. L’idea è applicare alla sostenibilità il concetto di risk analysis, il processo scientifico che porta alla valutazione della sicurezza di un alimento.
In un articolo di cui lei è coautrice (Stress Testing The European Green Deal: The ‘Securitisation’ Of Energy, Food And Climate) si denuncia che per molti leader politici la questione dei target ambientali è puramente addizionali o secondari. Che ruolo giocano i leader nell’applicazione del Green Deal?
Importantissimo. Molti degli obiettivi sono stati inglobati all’interno della politica agricola comune 2023 che ha un carattere molto nazionalista. Questo perché è importante che le nazioni adottino delle misure che siano le più aderenti possibili alle esigenze dei propri territori. Questo vuol dire lo stato sarà responsabile di disegnare il piano, dell’implementazione e del monitoraggio con l’unico vincolo di raggiungere gli obiettivi del G.D. Adesso è il momento per gli Stati Membri di mettersi in gioco. Anche se non tutti sono in grado di farlo. L’UE valuterà se questi piani sono stati performanti.
Ma gli Stati Membri sono pronti a questo considerando che non hanno più tempo?
Il problema è proprio questo. L’unico strumento che UE ha per spronarti è quello di tagliare i fondi. Ora a livello europeo si sta facendo tanta comunicazione ed educazione per allineare l’idea di sostenibilità. La Commissione Europea ha in carica il monitoraggio dei piani e può intervenire se questi non funzionano. C’è da dire che molti Stati Membri non sono riusciti a rispettare la deadline di consegna del piano (dicembre 2021). Anche se ad oggi sono stati tutti approvati, la palla passa in mano agli Stati Membri ora.