LA DIVERSITY NEI LIBRI SCOLASTICI - Finalmente la proposta di legge

03 Dic 2020

Marzia Camarda

Il tema torna periodicamente alla ribalta: i testi scolastici presentano ancora un gran numero di stereotipi, tanto nel linguaggio e negli esercizi quanto nei modelli e negli equilibri generali, e persino nella rappresentazione iconografica. Non solo: il contributo delle donne alle diverse discipline, al sapere e al progresso è ancora grandemente sottorappresentato; e spesso accade che qualche figura difficilmente ignorabile sia inserita in un “boxino” di approfondimento, come si farebbe di fronte a un caso eccezionale, invece che essere immersa nel flusso generale della trattazione, compiendo così un gesto che ha buone intenzioni ma esiti contrari a quelli desiderati. Di conseguenza non solo l’apporto di filosofe, letterate, scienziate, matematiche, storiche, artiste viene spesso ignorato, ma soprattutto si trasmette agli allievi e alle allieve l’idea che la scienza, per esempio, sia cosa da maschi, e che in generale le donne non possano e non debbano contribuire pienamente al progresso delle arti e delle scienze.

Gli editori ne sono consapevoli: tanto che oltre 20 anni fa hanno stilato un documento, il Polite, in cui si impegnavano (in accordo con lo Stato) a introdurre la parità di genere nei libri di testo. E per qualche anno, in effetti, si sono prodotti dei tentativi di applicazione, ma i cui esiti, come documentato per esempio dagli studi di Irene Biemmi, non rispondono allo sforzo compiuto, tanto che, secondo la studiosa, i libri che adottavano il Polite e quelli che non lo adottavano presentavano esattamente gli stessi bias. Nonostante la buona volontà e l’impegno, dunque, e malgrado il passare degli anni, troppo poco è cambiato. Le ragioni di questa difficoltà nel giungere a una rappresentazione equa non sono da attribuire interamente agli editori: in Italia si pubblica un milione e mezzo di pagine l’anno, un numero tanto necessario quanto esorbitante; e a rivedere quelle pagine contribuiscono migliaia di editor, la maggior parte dei quali e delle quali è esterna rispetto alla casa editrice per cui lavora e che quindi non ha accesso alla formazione: ed è evidente che, su un tema come questo - in cui è necessario decostruire certi modelli per adottarne di nuovi - la formazione è indispensabile e non si può semplicemente fare riferimento genericamente a delle linee guida senza una formazione puntuale (cosa che, peraltro, vale anche per gli/le insegnanti). Alcuni singoli editori negli ultimi tempi hanno attuato un percorso di revisione dei propri testi, con esiti meritori, ma è evidente che affidarsi all’intenzione del singolo non è stato sufficiente e che, di conseguenza, la questione sia intervenire a livello sistemico per far sì che i canoni vengano ridiscussi e aggiornati, tra l’altro includendo non solo la parità di genere ma tutte le diversity che sono contenute e descritte nel testo Making textbook content inclusive: a focus on religion, gender and culture prodotto dall’Unesco nel 2017, documento a cui questa legge fa esplicito riferimento.

Questi stimoli da parte di istituzioni internazionali non sono nuove: in diverse occasioni, nei decenni scorsi, l’Italia ha firmato accordi in cui si impegna a modificare gli schemi educativi che privilegiano alcune categorie rispetto ad altre e a rimuovere le cause di queste disparità. La proposta di legge presentata a luglio di quest’anno e firmata dagli onorevoli Fusacchia, Lattanzio, Muroni, Palazzotto, Quartapelle, Boldrini, Ciampi e Carbonaro si pone proprio l’obiettivo di affiancare gli editori per risolvere concretamente le criticità che ostacolano l’applicazione dei criteri di equità tra tutti i cittadini e cittadine. La legge prevede dunque un osservatorio, in cui verranno stilate le linee guida di riferimento, ma soprattutto prevede la formazione per editor e insegnanti: una trasmissione delle competenze che, mettendo insieme gli attori che si occupano di educazione scolastica, ne migliorerà certamente i risultati complessivi. Una legge come questa, tuttavia, non ha un’utilità solo per chi, oggi, è purtroppo ancora sottorappresentato: un’educazione (possibilmente precoce) che aiuti tutti e tutte a misurarsi con le molteplicità della realtà che ci circonda rappresenta un fondamentale strumento educativo; ed è necessario e urgente investire tempo, competenze ed energie per evitare di trovarci in futuro a gestire, ancora, un mondo in cui parte della popolazione, per via di pre concetti appresi, non riesce a far emergere le opportunità e le capacità di tutti e tutte, che invece sono utili per l’intera comunità. Peraltro, l’esigenza di avere testi più equilibrati nella direzione che abbiamo enunciato è sentita anche dagli e dalle insegnanti, che si sono organizzati in associazioni (come quella di Indici paritari, che ha raccolto oltre duemiladuecento firme di docenti che richiedono che i canoni delle discipline vengano riequilibrati); ma molte altre sono le associazioni e i gruppi che domandano che i testi scolastici e, in generale, la scuola si adeguino a una società che – è un dato di fatto – è profondamente cambiata.

Non possiamo far finta che la realizzazione futura dei nostri figli e figlie, la loro capacità di emergere in un mondo sempre più incerto e il loro contributo costruttivo alla società e al progresso non passino attraverso un’educazione di qualità e un’armoniosa realizzazione dei talenti di ciascuno e ciascuna di loro. Abbiamo, inoltre, un’enorme responsabilità nei confronti delle generazioni di cui siamo genitori, insegnanti, in generale educatori, perché è evidente che la salute di un Paese passa proprio da quanto esso è in grado di costruire opportunità ed equità sociale. Per questo è necessario si provveda all’applicazione dei criteri costituzionali che riconoscono a tutti i cittadini e cittadine «pari dignità sociale […] senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Non possiamo ignorare che la scuola è il primo (e forse l’unico) vero strumento di mobilità sociale e, come sosteneva Calamandrei, «l’organo centrale della democrazia […] perché essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali» e, aggiungerei io, possa rappresentare una società a cui tutti e tutte si sentano fieri di appartenere.

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