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LA CURA

A cura di Francesco Reale Segretario Generale Fondazione Adecco ETS
30 Mar 2024

Benessere psicologico, fisico, professionale, sociale e finanziario dei lavoratori e nelle lavoratrici, caratterizzato da relazioni interpersonali gratificanti e dalla capacità di affrontare le situazioni in modo costruttivo: questo è il wellbeing. Uno dei pilastri delle relazioni interne a un’azienda e indicatore della salute dell’organizzazione stessa. Un tema che, già negli anni ’50, era particolarmente caro ad Adriano Olivetti e che oggi risulta essere strategico per tutte, anche e soprattutto in termini di attraction e retention.

Prendersi cura delle proprie persone come vocazione e insieme priorità per ogni organizzazione che voglia crescere. Un obiettivo, quello di Adriano Olivetti, cui oggi è necessario aspirare, in un mondo del lavoro che cambia rapidamente e in cui diventa sempre più difficile trovare e mantenere il giusto equilibrio tra vita professionale e privata, anche a causa di stress, ansia, stanchezza e calo della motivazione. Un mondo del lavoro nel quale cambia anche il concetto stesso di leadership ispirandosi ad Olivetti.

Nonostante sempre più aziende scelgano di adottare approcci human centric per garantire il benessere psicologico, fisico, professionale, sociale e finanziario dei propri lavoratori e delle proprie lavoratrici, sono ancora molte le realtà che faticano a costruire una cultura organizzativa fondata sul wellbeing dei e delle dipendenti, inclusiva, equa e psicologicamente sana.

Un tema, quello della salute mentale, vissuto molto spesso in silenzio nelle organizzazioni, perché la fragilità è ancora vista come sinonimo di insuccesso professionale e manageriale. Un silenzio che investe anche i processi di selezione, perché è difficilissimo che le aziende si aprano a coloro che hanno percorsi e vissuti legati a fragilità psichiche, malgrado l’obbligo di inclusione di persone appartenenti alle categorie protette (Legge 68/99).

Le difficoltà psichiche costituiscono, da sempre, un elemento di discriminazione e ostativo al reinserimento sociale e nel mondo del lavoro. Poco conosciute, poco comprese e soprattutto spesso svalutate e de-rubricate come ‘scusanti’, vengono considerate con sospetto dai datori e dalle datrici di lavoro, manager e purtroppo dalle colleghe e dai colleghi stessi. Impensabile scriverlo in un CV, frustrante condividerlo durante un colloquio.

Sarebbe bello partire dall’ammissione collettiva che tutte e tutti noi abbiamo problemi di salute mentale (la pandemia, le crisi economiche e/o familiari, i lutti hanno coinvolto migliaia di individui) e condividere le nostre fragilità anche nei luoghi di lavoro e a ogni livello. Il contesto

sociale in cui viviamo ci porta a promuovere i nostri successi, costantemente, e a nascondere le fragilità e difficoltà, costringendoci a sostenere un faticosissimo processo di allontanamento del “non-successo”, che non fa altro se non moltiplicare quel senso di inadeguatezza, incertezza, frustrazione o, peggio, senso di colpa.

Quanto sarebbe bello e utile parlare di depressione, di quotidiane difficoltà e paure anche a livelli manageriali e quanto aprirsi e parlarne potrebbe rendere più inclusivi gli ambienti di lavoro? Il wellbeing oggi, per alcune aziende, include proprio il sostegno psicologico, uno sportello di ascolto, progetti di caregiver aziendale, webinar e approfondimenti sul tema salute mentale nei luoghi di lavoro.

Un percorso intrapreso in primis dai grandi brand ma che ognuno e ognuna di noi può portare avanti e ampliare nel suo quotidiano. Come? Partendo da alcuni spunti e contenuti suggeriti su Morning Future, ad esempio.

Prendiamoci cura e condividiamo le nostre fragilità per creare empatia e supportare le fragilità altrui.

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