LA COSTITUZIONE NON GIUSTIFICA UNA CONCEZIONE DELLA FAMIGLIA NEMICA DELLE PERSONE
Così si esprime la Corte costituzionale nel 2002 occupandosi dei cd. figli incestuosi e dando rilievo ai diversi e nuovi “fenomeni” che possono verificarsi nelle famiglie.
Tale significativa affermazione può sciogliere i nodi che ancora si pongono rispetto a famiglie diverse da quelle tradizionali, in cui ci sono differenti declinazioni della genitorialità che comprendono anche le persone singole. Il riconoscimento di famiglie e genitorialità diverse è ovviamente rimesso alla discrezionalità del Parlamento, ma grazie alla Corte costituzionale è possibile individuare alcuni punti fermi.
1. Rispetto al primo punto, se la famiglia tradizionale trova il suo esplicito fondamento nell’art. 29 Cost. come società naturale fondata sul matrimonio, per l’unione omosessuale si deve richiamare l’art. 2 Cost., che riconosce in generale le formazioni sociali e ricomprende ogni forma di comunità in cui si sviluppa la persona nella vita di relazione. A questo proposito la Corte ha riconosciuto che le persone omosessuali hanno il diritto di vivere liberamente la propria condizione di coppia e il legislatore è successivamente intervenuto con la legge n. 76/2016 che disciplina sia le convivenze (eterosessuali e omosessuali) sia le unioni civili (omosessuali). Recependo quanto la stessa Corte aveva stabilito, la legge n. 76 ha anche consentito la trasformazione del matrimonio in unione civile quando uno dei coniugi rettifichi il proprio sesso. La Corte costituzionale ha provveduto recentemente a estendere simile possibilità anche al caso in cui sia una parte dell’unione omosessuale a rettificare il sesso, con ciò divenendo la coppia eterosessuale.
2. In ordine al secondo profilo, la ricerca della genitorialità può definirsi come aspirazione o desiderio, ma assume una connotazione del tutto peculiare se la definiamo diritto.
Al riguardo assume rilievo centrale la posizione dei/ delle figli/e, cui la legge n. 219/2012 riconosce uno status filiationis unico, introducendo anche la nozione di responsabilità genitoriale, che supera la potestà genitoriale a sua volta sostitutiva della patria potestà, così restituendo il senso più profondo del rapporto fra entrambi i genitori (e non solo il padre) e i/le figli/e, fondato sul dovere di cura dei primi nei confronti dei secondi, come prescrive l’art. 30 Cost.
In tale direzione la legge n. 40 stabilisce che i/le bambini/e nati/e da fecondazione assistita anche eterologa siano a pieno titolo figli/e della coppia che vi ha fatto ricorso, disegnando un modello genitoriale simile a quello tradizionale: coppie viventi eterosessuali sposate o conviventi, in età potenzialmente fertile.
Resta invece vigente il divieto di surrogazione di maternità (così definita dalla legge n. 40), che la Corte costituzionale ritiene che offenda in modo intollerabile la dignità della donna e mini nel profondo le relazioni umane, mentre periodicamente si torna a proporre l’introduzione di un reato universale (perseguibile quindi ovunque sia commesso, non ritenendosi sufficiente la vigente fattispecie penale prevista dalla stessa legge n. 40 e non tenendosi conto della cd. doppia incriminazione, ossia della necessità che anche nell’ordinamento in cui viene posta in essere la relativa condotta essa sia penalmente rilevante).
Rispetto alla posizione di coloro che nascono da tale pratica, però, la Corte ha affermato che l’inerzia legislativa non è più tollerabile tanto è grave il vuoto di tutela, individuandosi quale possibile soluzione l’adozione in casi particolari (istituto pure caratterizzato da criticità che sono state in parte superate dalla stessa Corte, che ha riconosciuto che anche attraverso questo tipo di adozione si creino rapporti di parentela fra l’adottato/a e la famiglia dell’adottante).
3. Resta, infine, l’interrogativo più ampio circa l’individuazione di un vero e proprio diritto alla procreazione, in relazione al quale l’interpretazione della Corte costituzionale è fondamentale nel ricostruirne la specifica accezione.
Essa ha riconosciuto le esigenze di procreazione da bilanciare con la tutela dell’embrione, dovendosi assicurare alla coppia seri tentativi di avvio della gravidanza attraverso le tecniche assistite; il diritto incoercibile a formare una famiglia anche con figli/e non genetici/ che; l’accesso alla diagnosi preimpianto anche alle coppie portatrici di gravi malattie genetiche, garantendo il diritto a non avere un figlio certamente malato. Per le coppie omosessuali, invece, non vi è un diritto alle tecniche assistite, anche se ciò non incide sulla valutazione della capacità di crescere i/le figli/e, lasciandosi pur sempre libero il Parlamento di decidere se e come regolarne l’accesso.
In attesa di tale intervento, la Corte ha confermato che il consenso maschile per le procedure di fecondazione assistita diventa irrevocabile una volta formato l’embrione: in tal modo si permette alla donna anche single di proseguire con l’impianto in utero, con ciò superando uno dei requisiti imposti dalla legge n. 40 per l’affermazione del modello tradizionale di famiglia, ossia la presenza di una coppia sposata o convivente per l’applicazione delle tecniche assistite.