LA CITTÀ
DEI 15 MINUTI

29 Mag 2022

Il modello che da Parigi ha preso piede in tutta Europa

di Emanuele La Veglia

Una città inclusiva è un luogo che non solo accoglie chiunque, senza fare distinzioni di etnia, genere, età, ma in cui soprattutto ci si possa sentire a proprio agio. Quante volte, misurando la vivibilità magari di un capoluogo di regione, consideriamo, come parametro, ad esempio metropolitane o autobus? Tasselli che sono sicuramente fondamentali perché è estremamente importante capire il tempo che occorre per raggiungere le mete quotidiane.

Il discorso, apparentemente scontato, è stato teorizzato da un professore universitario, Carlos Moreno, che insegna a Parigi, alla Sorbona. Nato in Colombia, è un divulgatore noto a livello internazionale per il modello “Vile du quart d’heure”, concept con cui ha disegnato la piantina ideale, quella in cui, in soli 15 minuti, percorsi a piedi o in bici, si può arrivare, partendo dalla propria abitazione, ai principali servizi. 

Ridurre le distanze diventa un modo per velocizzare l’accesso a esigenze quotidiane come l’istruzione, il lavoro, l’assistenza sanitaria, i beni di prima necessità, ma anche le risorse per una maggiore cura di sé, e dunque shopping, divertimento, benessere e così via. Può sembrare qualcosa di assolutamente ideale, eppure l’urbanista, classe 1959, ha più volte dichiarato di ispirarsi a documenti diffusi da decenni, come le opere dell’antropologa e scrittrice Jane Jacobs. 

Ancora una volta ecco una figura femminile dietro un’idea rivoluzionaria, che vede appunto le sue origini nel libro in questione, uscito nel 1961 e intitolato “The Death and Life of Great American Cities”. E, analogamente, c’è una donna dietro la diffusione concreta del progetto, ovvero Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, al suo secondo mandato e candidata alle ultime elezioni presidenziali. Una figura di spicco che ha fatto da traino a un obiettivo ambizioso che è adesso inseguito da tanti Paesi europei e non solo. 

Un’espressione ricorrente per definire il fenomeno è “localismo cosmopolita” perché la soluzione proposta sta nell’avvicinare tra loro determinati punti di interesse, piuttosto che trovare il modo per collegarli meglio. Un capovolgimento di prospettiva sperimentato con decisione durante la pandemia, poiché, per evitare contagi, si sono moltiplicati i sistemi di sharing, l’utilizzo di monopattini, biciclette e il tornare a essere pedoni quando possibile, evitando smog e traffico.

Le origini andaluse di Hidalgo ci conducono, in un viaggio ideale, nella penisola iberica, dove è Barcellona a fare da capofila con l’adozione dei “superblocks”, i raggruppamenti di più isolati in cui si riduce al minimo la circolazione delle macchine, per lasciare ampio margine a runner, parchi, aree gioco, mentre le code, e il conseguente inquinamento, restano all’esterno dell’area delineata. A fare eccezione, con stabiliti limiti di velocità, sono vetture di residenti e veicoli d’emergenza. 

La trasformazione può interessare, nel mentre, il singolo quartiere, orizzonte senza dubbio attuabile come hanno capito da tempo a Copenaghen, in Danimarca, dove è stato sperimentato il principio dei cinque minuti, entro i quali trovare ciò di cui si ha bisogno. E veniamo in Italia, a Milano, una metropoli che si presta a rispondere, in un futuro prossimo, ai parametri delineati. Al momento la maggioranza dei tragitti sono fattibili in mezz’ora, con i mezzi, ma resta una struttura a cerchi concentrici, in cui andando verso il più interno (dalle parti del Duomo per intenderci) sale il benessere economico e sociale. 

Diversa la distribuzione di Roma, dove i cosiddetti “municipi” sono estesi quanto piccole città. Un contesto variegato in cui il sindaco, Roberto Gualtieri, vuole portare il modello di Moreno. Cosa vi rientrerebbe? Una fermata del trasporto pubblico, scuola, almeno primaria e dell’infanzia, sport, coworking, acquisti base e aggregazione culturale. Intanto, per porsi obiettivi più raggiungibili, c’è chi preferisce puntare forse più “in basso”, ma con continuità, come Sidney, la “15-minutes city” che in Australia rappresenta un esempio di innovazione ambientale e logistica. 

Il post-Covid ha reso più semplice lo scenario tracciato poiché l’emergenza ha insegnato a valorizzare il vicinato, i piccoli negozi e a considerare cosa c’è intorno a noi, prima di spiccare il volo verso altri lidi. Cominciamo allora dal networking “di prossimità” e successivamente portiamone i frutti all’esterno, allargando gli orizzonti tra connessioni tramite i social e viaggi in giro per il mondo, tenendo alta la bandiera dell’inclusione.


Emanuele La Veglia

1992, laureato in editoria, culture della comunicazione e della moda, giornalista professionista.

Registrazione Tribunale di Bergamo n° 04 del 09 Aprile 2018, sede legale via XXIV maggio 8, 24128 BG, P.IVA 03930140169. Impaginazione e stampa a cura di Sestante Editore Srl. Copyright: tutto il materiale sottoscritto dalla redazione e dai nostri collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione/Non commerciale/Condividi allo stesso modo 3.0/. Può essere riprodotto a patto di citare DIVERCITY magazine, di condividerlo con la stessa licenza e di non usarlo per fini commerciali.
magnifiercrosschevron-down