JACK LONDON - Il grande sogno del ritorno alla terra
di Davide Sapienza - Nel 2007, durante un viaggio londoniano, grazie all’invito dell’American Literature Association ebbi l’opportunità di conoscere alcuni dei maggiori studiosi dell’autore californiano e di trascorrere un’intera giornata al Beauty Ranch, nella Sonoma Valley di Glen Ellen. Grazie a Lou Leal e a fondamentali contributi accademici come quelli di Earle Labor, il progetto di riscoperta per il Jack London Historic State Park aveva permesso di
ricostruire la centralità dell’agricoltura e della vita dell’autore di Martin Eden.
L’impressione è forte oggi come allora. Fatti i primi passi, un pannello informativo recitava, Jack London Had A Dream e per tutto quel giorno di splendido sole settembrino potei percepire fin sotto la pelle il sogno così reale di un’agricoltura sostenibile, capace di praticare l’insegnamento della natura, ovvero il rapporto armonico tra tutte le componenti di un ecosistema. Per London, l’agricoltura fu il midollo spinale dell’ultimo decennio della sua vita. Da essa aveva tratto ispirazione e per essa si era speso spalmandone il senso profondo in vari suoi articoli, racconti e libri. Nel 1914 La Valle della Luna, romanzo di grande respiro di forte impatto cinematico, racconta la vicenda di Jack e della moglie Charmian nei panni
dei giovani protagonisti Billy e Saxon. La coppia in fuga da Oakland arriva nella Sonoma Valley percorrendo un sofferto cammino di presa di coscienza dei valori della vita in quello che era e resta «un paese di monti e di valli, con terra ricca, acqua limpida, strade carreggiabili non troppo lontane, sole in quantità, notti abbastanza fresche per aver bisogno
di coperte, e non soltanto pini, ma anche altri alberi, alberi d’ogni specie, con ampie radure per pascolarvi cavalli, buoi e vacche, con cervi e conigli da cacciare, foreste di sequoie, usignoli annidati tra gli alberi, fiori che non appassiscano mai, api che non pungano, rugiada di miele ogni mattina, piogge di manna di tanto in tanto, fonti di giovinezza, cave di pietra
filosofale».
Trascorso oltre un secolo dalla morte di London, il genius loci con cui Charmian e Jack stabilirono il loro patto agricolo sostenibile è tutto nella pratica di un’azienda agricola a nord di San Francisco, sui magnifici colli della valle di Sonoma, il nome nativo della valle della Luna. La lunga escursione all’interno dell’immensa tenuta è un viaggio verso un orizzonte che parla la lingua dell’eterno ragazzo visionario. Jack aveva lì
realizzato le sue idee e su di esse investito ogni dollaro. Il sogno prevedeva l’eliminazione dello sfruttamento intensivo del suolo, l’utilizzo di materia organica senza fertilizzanti, libertà di movimento per gli animali, promozione di una comunità umana che non fosse costretta a vivere nell’incertezza del raccolto ma nel reciproco scambio. John London, padre adottivo di Jack, era stato un contadino che da vedovo e padre della sorellastra Eliza, lasciò al figlio adottivo destinato alla fama in eredità l’amore per i campi e quello di un legame fortissimo con la figlia.
Non appena il successo letterario glielo concesse, Jack decise di acquistare dei terreni per poi trasferirsi da Oakland sui colli a nord della città. Nel 1905, due anni dopo l’enorme successo di Il Richiamo della Foresta, acquistò i primi 500 ettari di terra nella Sonoma Valley e quando il 22 novembre 1916 morì, l’azienda agricola era vicina ad essere «la più moderna di tutto
l’occidente grazie all’allevamento scientifico del bestiame e a un utilizzo della terra contrario allo sfruttamento intensivo». I terreni acquistati gli avevano dato accesso all’acqua sorgiva che, in una terra semiarida come la California, gli avrebbe permesso di controllarla. Ci aveva lavorato di testa per anni, prima di iniziare: «Ho cominciato a studiare il problema chiedendomi perché, in 40-50 anni qui la fertilità del terreno è crollata
a zero, mentre in Cina la terra viene coltivata da migliaia di anni senza avere perso fertilità. Ho adottato la politica di non prendere niente dal terreno, portando lassù la prima concimatrice naturale per concimare il terreno in modo organico». Un passaggio chiave della sostenibilità per ridare al suolo più di quello che gli viene sottratto, ovvero raccogliere gli “interessi” evitando di intaccare il “capitale di base”. Nell’America di allora gli agricoltori ragionavano come i minatori: sfruttato il suolo al massimo, si passava oltre, lasciando, letteralmente, terra bruciata. Jack London sapeva che il concime naturale era una eccellente fonte di materia organica
e nutrienti; immagazzinò letame in una struttura adibita allo scopo per trasformarlo in compost, la materia organica che aiuta a migliorare le caratteristiche fisiche del suolo, ottenere una corretta penetrazione dell’acqua, rinforzare la tenuta del terreno e poter dissodare senza violentare la terra evitandone l’erosione. La materia organica è vita: batteri e funghi creano grumi e piccoli passaggi sotterranei che permettono
all’acqua e all’ossigeno di filtrare, e alle radici di penetrare più a fondo. Studiando i bollettini del ministero dell’agricoltura, il Beauty Ranch divenne un’azienda agricola sostenibile, in grado di sfruttare virtuosamente la catena alimentare grazie al terreno in buona salute. Sono ancora le parole di La Valle Della Luna, a svelarci cosa non voleva più fare, da nuovo americano, nel passaggio dove Billy racconta la filosofia dell’agricoltura
americana dai suoi inizi: «Cominciarono a impadronirsi di tutto quello che gli capitava a tiro come tanti porci e così facendo mandarono in frantumi la democrazia. Ma così chiunque finiva per giocarsi tutto, tanto gli bastava inseguire la frontiera verso ovest e prendersi un altro pezzo di terra. E così avanzavano sul territorio come tante locuste: distruggendo tutto, la civiltà dei Nativi, il suolo…».
Camminando tra le sequoie, dal cottage dei London fino alla diga nascosta dalla foresta, ebbi la percezione di essere in cammino tra le pagine dei suoi libri, avvolto dal grande sogno di un rapporto armonioso con la natura. Visitare il Beauty Ranch aiuta a cogliere come una grande destrezza letteraria possa mettersi al servizio di un messaggio universale. Con il
suo contagioso entusiasmo, Jack al proprio editore, George Brett, spiegò come procedeva il lavoro: «sono innamorato del ranch…torno a far vivere un terreno morto. I terrazzamenti iniziano a essere ben visibili, il primo silos è un successo e ne sto costruendo altri due per l’inverno. Abbiamo iniziato i lavori per un porcile che sarà l’orgoglio di tutti gli allevatori degli Stati Uniti. Ho anche sistemato la mia prima grande diga, di modo da riuscire ad avere due colture l’anno per fare rotazione, mettendone sempre una a maggese».
E in una lettera al direttore di The Indepedent, scrive: «Sto provando a coltivare senza fertilizzanti commerciali. Sono convinto del fatto che il suolo sia un unico asset indistruttibile e grazie alla rotazione delle colture, dissodando nel modo corretto, con il concime fresco, raccogliendo azoto con le colture di copertura, i concimi animali, la bonifica, ho risultati che i cinesi ci hanno dimostrato ottenibili da quattromila anni». Senza dimenticare il trattamento degli animali: ogni esemplare doveva godere del suo spazio vitale, all’aperto, per vivere nel modo più naturale. Lunedì 20 novembre 2016, due giorni prima di morire, Jack si diresse a cavallo per cercare il proprietario di un terreno confinante. Arrivato sul posto, smontò da cavallo per testare il terreno che desiderava acquistaree poi scrisse, «mi scorreva tra le dita come sabbia, talmente era friabile». La sera del 21 parlò con Eliza, manager del Beauty Ranch per progettare nuovi piani di sviluppo. Anche nelle ultime ore Jack vedeva il suo sogno come una realtà palpabile (alla faccia della ridicola narrazione di morte per suicidio). Così, la
moglie, ce lo consegnò, pochi giorni dopo la sua dipartita: «Vi prego, con tutto il cuore, di non permettere al mondo di dimenticare che lui posò la mano sui colli della California con il racconto più importante di tutti, l’immaginazione e la saggezza.
Non permettete che si dimentichi il grande sogno di Jack London».
ARTICOLO PUBBLICATO IN DIVERCITY VII, GIUGNO 2020