IO VOGLIO PORTARE GLI OCCHIALI
I dati pre-pandemia stimavano che nei paesi sviluppati oltre il 70% della popolazione avesse bisogno di lenti correttive per vedere bene e che nel mondo circa 2,5 miliardi di persone necessitassero di occhiali, ma non avessero la possibilità di acquistarli.
Considerando che attualmente la nostra vita si svolge prevalentemente al chiuso e che dalla nascita di questo strumento, per il quale dobbiamo ringraziare i maestri vetrai veneziani del 1200, la necessità di leggere, prima in cartaceo e poi in digitale, è aumentata a dismisura, non è un azzardo dire che permetterci di vedere meglio sia stato uno dei grandi passi del progresso scientifico. L’essere umano per comprendere meglio ciò che lo circonda si avvale di lenti: pensiamo per esempio al microscopio per poter osservare l’infinitamente piccolo e al telescopio per poter immortalare l’universo.
Eppure, come spesso accade, nella letteratura alcuni oggetti che non ci sogneremmo mai di eliminare dalle nostre vite acquistano una carica simbolica diversa. Questo ovviamente non ci deve stupire, perché se, come abbiamo detto, la scienza nella maggior parte dei casi cerca di spiegare ciò che si trova fuori, mi piace pensare che la letteratura si occupi prevalentemente di ciò che accade all’interno di noi.
Nella Napoli del 1953, Eugenia, protagonista del racconto Un paio di occhiali, posto in apertura di Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, vive nella periferia più povera della città e poiché è “quasi cecata”, distinguendo a malapena i volti dei suoi famigliari, la zia le propone di acquistare un paio di occhiali. La bambina durante la visita indossa per la prima volta le lenti e guardando fuori dal negozio vede chiaramente un mondo senza nebbia, fatto di luci e colori, con uomini e donne ben vestiti, automobili, filobus e negozi scintillanti e prova per la prima volta la meraviglia. L’emozione dura però solamente fino al momento in cui Eugenia otterrà i suoi occhiali: la madre, infatti, andrà a ritirarli al negozio e li porterà a casa. Appena indossati la bambina riuscirà a mettere a fuoco la condizione di miseria che la circonda, inizierà a sentirsi male e deciderà di gettarli via.
Eugenia per la prima volta vede il suo mondo per come è veramente e decide di privarsi dello strumento che le mostra quella realtà miserabile per rifugiarsi in un mondo altrettanto reale, ma ovattato dalla nebbia onirica che ha caratterizzato la sua infanzia. Il sogno interiore, quindi, prende il posto della realtà esterna, che per la sua natura contraddittoria è bene che rimanga inconoscibile.
Non è questo l’unico esempio in cui gli occhiali acquistano un valore simbolico, ne troviamo un altro paio nel romanzo breve di Giorgio Bassani Gli occhiali d’oro, ambientato a Ferrara durante il fascismo.
Athos Fadigati è un medico di grande fama giunto in città da Venezia:
Erano piaciuti i suoi modi cortesi, discreti, il suo evidente disinteresse, il suo ragionevole spirito di carità nei confronti dei malati più poveri. Ma prima ancora che per queste ragioni, dovette raccomandarsi per come era: per quegli occhiali d’oro che scintillavano simpaticamente sul colorito terreo delle guance glabre […].
Eppure, non appena iniziano a girare dicerie e sospetti sul suo conto, inizia un lento processo di esclusione dalla società, che porterà a un tragico epilogo. In particolare, conoscenti e amici iniziano a domandarsi perché il medico non abbia ancora preso moglie, finché la situazione non precipita quando si viene a sapere della sua scandalosa relazione con un altro uomo. Gli occhiali d’oro diventano il simbolo della diversità che non può essere tollerata e separano nettamente il protagonista dalla società, impedendogli di ricongiungersi con essa.
Partendo dal presupposto per cui il mondo in cui viviamo è ancora caratterizzato da quel dolore che la piccola Eugenia non era mai riuscita a percepire intorno a sé e che siamo ancora lontani dal raggiungere una piena inclusione per tutt*, la scelta che ci troviamo a fare nella nostra quotidianità è quella di indossare o non indossare gli occhiali. Solo scegliendo di portare queste lenti possiamo vedere ciò che ci circonda e impegnarci attivamente per migliorare la condizione di miseria sociale, climatica, economica che ci circonda; di conseguenza, davanti alle ingiustizie e alla propaganda che tende ad escludere il diverso, dovremmo farci coraggio e dire: “io voglio portare gli occhiali”.