Intervista a Ilaria Cinelli
Ilaria Cinelli è ingegnera biomedica, appassionata di spazio e healthcare, fa parte dell’Aerospace Medical Association per medicina spaziale e dell’Aerospace Human Factors Association per fattori umani in aerospazio. È anche membro del network Space4Women, piattaforma di mentoring che promuove l’uguaglianza di genere e l’empowerment nel settore spaziale.
Nel 2015 è stata selezionata dalla Mars Desert Research Station per guidare negli Stati Uniti le simulazioni di vita su Marte, che, da allora, sono diventate la sua passione.
Come ha capito di voler lavorare nella medicina aerospaziale?
Durante l’esame di dispositivi chirurgici all’Università è scattata la scintilla. Partiamo dal fatto che in ingegneria ci sono diverse assunzioni fondamentali, tra le quali c’è anche la forza di gravità. A partire da questo, ho iniziato a chiedermi che cosa potesse accadere all’essere umano eliminando la gravità e come potesse cambiare il funzionamento dei dispositivi medici. La risposta che mi sono data? Quei dispositivi che mi stavo tanto impegnando a studiare avrebbero completamente smesso di funzionare. Da lì ho cominciato a documentarmi e approfondire la relazione tra la medicina e lo spazio, implementando anche piccole procedure di chirurgia in ambiente estremo. Oggi l’obiettivo non è fare chirurgia sulla luna, ma migliorare gli strumenti chirurgici così da poterli usare in contesti diversi dalla Terra.
Il mio scopo principale, però, oggi è ancora diverso: sensibilizzare la comunità scientifica sul fatto che la salute e lo spazio sono più legati di quanto si pensi, perché nello spazio mandiamo esseri umani e in quel contesto la salute non viene messa in pausa. Voglio anche contribuire a far capire quanto sia un settore vivo, su cui si può lavorare.
Qual è il nesso tra la salute umana e lo spazio?
La tecnologia dello spazio e le scoperte che si fanno in orbita sono interessanti soprattutto per il ritorno e il trasferimento tecnologico sulla Terra. Le cose più interessanti avvengono nelle missioni di spazio profondo, ad esempio come quella su Marte. Sul piano medico la missione comporterà un rischio elevato, ma per farsi trovare preparat* si produrranno una tecnologia medica e dei sistemi molto più avanzati di quelli che abbiamo oggi, che consentiranno all’essere umano di prendersi cura di sé e del suo team in condizioni estreme. Trasferire sulla Terra queste tecnologie mediche significherà che qualsiasi persona, anche non specializzata in medicina, avrà accesso ad una qualità della salute molto più elevata e dignitosa. Questo avverrà in tempi molto lunghi, perché nello spazio si lavora per creare un ecosistema che possa supportare e migliorare la vita umana sul lungo termine. Il problema urgente è un altro: sensibilizzare le persone che gestiscono le missioni, perché non è ancora automatico che vedano la salute come aspetto fondamentale da considerare.
Come si può preservare la salute mentale nello spazio?
Tenere conto di questo aspetto è fondamentale per il successo delle missioni a lungo termine. Essere confinat* in ambienti ristretti e isolati può comportare notevoli sfide psicologiche. La mancanza di connessione con il mondo esterno può causare sentimenti di solitudine e depressione; inoltre, riducendosi il contatto con stimoli terrestri, diventa più difficile contrastare lo stress e la fatica. Nello spazio si devono affrontare situazioni stressanti e impreviste, come guasti tecnici ed emergenze simulate, che possono mettere alla prova la resilienza emotiva, ma bisogna sempre saper reagire al massimo delle capacità. Pertanto, è essenziale fornire un supporto psicologico adeguato e programmi di gestione dello stress a chi viene mandato nello spazio, per garantire una salute mentale ottimale. Nelle missioni a spazio profondo l’assenza di una comunicazione in tempo reale con specialist* sulla Terra rende il monitoraggio della salute mentale un compito complesso. Tuttavia, l’ingegneria sta lavorando a tecnologie avanzate che fungano da supporto costante, consentendo di gestire autonomamente la propria salute nello spazio. Questa tecnologia innovativa agisce come un affidabile infermiere digitale, sempre presente, fornendo dati e informazioni utili al personale medico terrestre. Il trasferimento tecnologico di questa soluzione potrebbe ridurre la pressione sugli ospedali e sul personale specializzato.
Anche i sistemi senza equipaggio o pilotati a distanza non possono fare a meno del fattore umano per portare a termine le missioni e questo Ilaria Cinelli lo sa bene, da membro dell’Aerospace Human Factors Association.
Che legame c’è tra diritti umani e medicina aerospaziale?
Tutta la nostra conoscenza in medicina spaziale si è finora concentrata sulla popolazione degli astronauti e delle astronaute selezionat* e addestrat* dalle agenzie spaziali. Tuttavia, l’apertura dei voli spaziali a individui al di fuori di questa categoria rappresenta un notevole traguardo, poiché segna il primo passo verso nuove scoperte nel campo medico. Infatti, oggi, rispetto al passato lo spazio si sta democratizzando, c’è una maggior apertura ed è possibile accedere allo spazio anche attraverso tipologie di volo con esposizione alla microgravità di breve durata.
Un esempio significativo è Wally Fuzz, selezionata dalla NASA per la missione Mercurcy a soli 24 anni, che ha volato nello spazio a 82 anni nel 2021 come astronauta suborbitale grazie all’azienda Blue Origin. Nello stesso volo, Oliver Daemen, uno studente di 18 anni appena diplomato. Con il passare degli anni, ci saranno sempre più partecipanti, specialmente donne, che contribuiranno con la loro presenza ad avanzare la scienza e arricchire la nostra comprensione del corpo umano nello spazio. Questi progressi promettono di aprire nuove prospettive per la ricerca medica spaziale e per l’esplorazione dell’ambiente spaziale da una prospettiva più ampia e inclusiva.
Da donna ha avuto maggior difficoltà ad affermarsi nel suo settore?
Sono partita da condizioni oggettivamente penalizzati: sono donna, europea e civile. Di fatto, nello spazio nessuno voleva avere a che fare con una persona che fosse tutte queste tre cose insieme e oggi le cose non sono molto più facili, ma è un problema degli uomini e di chi continua a veicolare stereotipi, non mio; non devo rinunciare a ciò che sono. Ho capito che cos’è la parità di genere fuori dall’Italia, perché nel nostro paese è talmente radicata la disuguaglianza che diventa normalità e non la noti più. Davo per scontato che le donne fossero una cosa e gli uomini un’altra.