INNOVARE PER INCLUDERE - Un nuovo modo di fare politica per una città capace di creare opportunità
Cristina Tajani
L’innovazione e l’inclusione sono strumenti per programmare l’azione pubblica?
In questi anni a Milano grazie all’azione condotta dell’Amministrazione Pisapia prima e Sala poi, abbiamo cercato di dare nuovi significati alle parole innovazione e inclusione. Termini che sono diventati la vera cifra distintiva di un nuovo modo di pensare e programmare l’azione pubblica che ha smesso di avere come unico riferimento un’idea di crescita solo quantitativa, per concentrarsi sulla centralità delle persone e sulla capacità di migliorare la propria condizione sociale. Innovare, significa creare cambiamento nelle modalità di progettare, produrre, distribuire e vendere beni e servizi, ma la scommessa milanese è che l’innovazione non sia fine a sé stessa ma anche in grado di produrre valore sociale accanto al profitto, che apra e includa soggetti e gruppi in un benessere sociale, relazionale, sostenibile e di partecipazione, oltre che economico. Volàno possono essere spazi ibridati e reinventati, la circolarità di saperi e informazioni (di dati), l’approccio collaborativo, che generano quell’intelligenza collettiva che porta a stare bene e fare bene insieme. Milano è apparsa in questi sette anni una città in movimento, che ha visto crescere sia la qualità della vita sia spazi e opportunità basati sempre più su innovazione e condivisione. Il binomio innovazione-inclusione è una delle chiavi interpretative più interessanti di questo successo. Welfare comunitario, sharing economy, innovazione sociale, apertura internazionale, smart city, start up, fablab, spazi di coworking, smart working e nuove forme di mutualismo hanno trovato terreno fertile perché coerenti con la visione di sviluppo della città assunta dall’Amministrazione.
Si può innovare e includere anche in settori tradizionali, come il commercio?
L’approccio è valido in qualunque settore. Occorre saper interpretare i cambiamenti, non subirli. A fronte di un passato in cui si chiedeva sicurezza invocando l’esercito nelle città, per noi la scommessa è stata, ad esempio, sostenere il commercio di vicinato per rendere le strade vive e presidiate; puntare sia su progetti innovativi sia sulla riscoperta dell’artigianalità, valorizzando l’energia dei giovani, premiando chi scommette sui luoghi periferici, chi punta sulla ricerca e la formazione continua. E valorizzando le donne e la loro capacità di intraprendere e scardinare modelli desueti. Ne sono scaturite oltre 1000 nuove imprese e 9 mila posti di lavoro creati in periferia grazie al supporto dell’Amministrazione negli ultimi 7 anni, non sono stati dimenticati gli esercizi impattati dai cantieri della nuova metropolitana, mentre uno sguardo innovativo sui 23 mercati comunali coperti e i Distretti Urbani del Commercio sta ancora trasformando quartieri e luoghi della città. L’idea centrale, che è diventata una guida per molti imprenditori e commercianti di nuova generazione (e che richiama a un passato da recuperare), è che non vi sia separazione tra il valore di un’Impresa e la sua funzione sociale: co-progettare, far crescere e integrare gruppi diversi all’interno del proprio quartiere è un’esigenza anche economica e di un ben vivere che rende nel suo complesso Milano più attrattiva e sicura. Anche in ottica manifatturiera. C’è stato un tempo in cui si pensava che la produzione, troppo invasiva per gli spazi cittadini e per la loro salubrità, dovesse essere espulsa da Milano: oggi noi scommettiamo invece su una manifattura intelligente, di nuova generazione, che punta sulla tecnologia per generare valore e creatività. Lavoro, relazione, cultura del progetto, ibridazione: su queste basi la città interpreta l’innovazione e l’inclusione in tutti i settori, che poi esplodono nelle sue “week”, poiché dietro ogni momento commerciale c’è una struttura pensata che ne garantisce il successo e il perfezionamento, in un dialogo continuo tra pubblico e privato, tra mondi e culture, tra soggetti e aspirazioni che sono la vera ricchezza della città.
Innovare significa anche un migliore bilanciamento vita/lavoro e una diminuzione del gap di genere?
Ho già accennato al ruolo delle donne nell’economia milanese, che è liberatore di energie e nuove modalità di agire e di pensare. Quando alcuni anni fa abbiamo sostenuto e presentato la ricerca “A Milano il lavoro è donna”, abbiamo avuto conferma di un’evidenza: in ogni settore innovativo le donne sono presenti e spesso maggioritarie. Non si tratta di una qualità “di genere”, ma giocoforza chi deve inventarsi una strada e non può contare su un percorso consolidato, rappresenta un’opportunità di innovazione per il sistema nel suo complesso. Occorre quindi agire sull’organizzazione del lavoro e della società in modo da accogliere le spinte migliori che vengono dal basso e consentire loro di esprimersi e conquistare spazi, anche modulando premialità e incentivi che non sono affatto tutele, ma investimenti sul futuro. Ecco perché in ogni bando per le imprese inseriamo un punteggio extra per le donne, ma anche per chi innova in diverse direzioni, dalla tecnologia, al sociale, all’ambiente. Poi i progetti di incubazione di idee come la Scuola dei quartieri, oppure la nuova organizzazione del lavoro, perché Milano sia attrattiva non solo perché c’è lavoro, ma per la sua qualità. Quando abbiamo avviato la Giornata (diventata oggi la Settimana del Lavoro Agile) non vi era alcun appiglio legislativo che ci consentisse di agire. Oggi, anche grazie a noi, Inail riconosce lo smart working come una modalità di lavoro garantita da assicurazione e il Parlamento ha legiferato in materia. Lo stesso stiamo sperimentando sul welfare aziendale, che nell’assetto attuale crea forti disparità tra lavoratori di uno stesso territorio poiché resta appannaggio di medie e grandi aziende, mentre un’alleanza territoriale tra pubblico e privato consentirebbe di abbattere steccati non giustificabili. Un altro esempio è il tema della genitorialità in azienda: abbiamo sperimentato un programma basato sulle soft skill e sulla formazione a distanza, sia per chi è in congedo parentale sia per chi resta in ufficio, sui nostri quasi 15.000 dipendenti e ora abbiamo vinto un bando europeo per testare il format sulla città, con l’obiettivo di eliminare o ridurre al minimo il soffitto di cristallo che pesa sulle donne da generazioni (MAAM). Oggi diciamo che donne e uomini che affrontano la bellissima esperienza della nascita di un figlio/a devono essere coinvolti dall’azienda in questo progetto di crescita e le competenze che si acquisiscono grazie alla nuova gestione famigliare, devono essere messe a frutto anche nel mondo del lavoro. L’idea di conciliare è sempre valida ma sapendo che non dobbiamo immaginare un mondo del lavoro e una città separati fra loro e che necessitano di un equilibrio: Milano è fatta da lavoratrici e lavoratori, da donne e uomini, da bambini e anziani, da culture e provenienze, da ogni diversità... che la rende unica e ricca. Rimuovere gli ostacoli alla piena espressione della personalità, come insegna la Costituzione, resta uno dei compiti più belli del decisore pubblico. Chiudo con un accenno al linguaggio, tema che scatena abitualmente levate di scudi e irrisioni. Su spinta del Consiglio comunale e insieme al collega di Giunta Lorenzo Lipparini, abbiamo approvato una delibera che apra un percorso di riflessione e formazione continua e crei “gli anticorpi” per un uso non sessista del linguaggio all’interno della pubblica amministrazione. Immediatamente siamo stati tacciati di perdere tempo o di voler forzare formule neutre, mentre pochi si sono soffermati a riflettere sulla inutile forzatura di continuare a voler declinare al maschile ruoli e funzioni ora svolti da donne e per cui la grammatica non ha dubbi di sorta. L’alibi delle priorità, lo sappiamo, è sempre usato in ottica conservatrice. La delibera, che recepisce una giusta e a lungo ignorata legge nazionale, non fa che accordare la giusta visibilità alle donne dell’ente che, essendo la maggioranza, tanta parte hanno nella buona reputazione del Comune di Milano e nella sua innovatività. Che si sia perso tempo io non credo, che fosse giusto non ho dubbi.