IL PROGETTO ALMA
Giulia Tomasello è interaction designer e nel suo lavoro unisce innovazione tecnologica e scienza per rompere i tabù sui corpi delle donne. Affianca alla tecnologia indossabile biotecnologie che possano favorire l’empowerment dei corpi con vulva e liberare dallo stigma quelli che da sempre hanno subìto una discriminazione.
Nel 2018 ha iniziato a lavorare al Progetto ALMA, https://al-ma.org/ realizzato in collaborazione con Isabel Farina medica-antropologa, Tommaso Busolo scienziato di materiali e Ryo Mizuta ingegnere specializzato in nano-tecnologie.
ALMA è uno studio multidisciplinare che combina design, tecnologia e antropologia per co-creare strumenti per un cambiamento culturale radicale nella salute intima femminile. Utilizza il metodo educativo come mezzo per decostruire la “cultura del silenzio” e creare uno spazio per un discorso aperto e senza pregiudizi sulla salute intima femminile. “La tecnologia serve come strumento scientifico per esplorare il proprio corpo ma anche come provocazione, per connettere le donne e sradicare i tabù”.
L’ultimo progetto su cui sta lavorando è un piccolo sensore indossabile nella mutanda, pensato per rilevare infezioni vaginali e aiutare le donne a misurare il ph e il microbioma vaginale e identificare eventuali infezioni. Il passaggio successivo è avere un supporto medico tramite app.
Nasce dall’idea di Future Flora, che nel 2016 si proponeva di creare un laboratoriodi microbiologia in casa, dove la donna potesse crescere la propria flora vaginale in unassorbente in gelatina per poi indossarla nelle mutande e prevenire così possibili infezioni vaginali. Se Future Flora è stato concepito essenzialmente come argomento di riflessione sulla cura della salute intima, con ALMA si auspica di realizzare un prodotto concreto e reale da portare sul mercato.
Per potersi sviluppare ulteriormente, il progetto dovrebbe avere un investimento importante nel ricreare un laboratorio per creare sensori di monitoraggio di fluidi. Tuttavia, il problema principale oggi è integrare la tecnologia nella quotidianità intima delle donne: «Soprattutto all’inizio non capivano come la tecnologia potesse aiutarle ed erano spaventate dal fatto che si potesse accostare alle parti intime; oggi si sta sempre di più accettando e normalizzando l’idea di ricorrere a mezzi come questo, ma comunque non siamo ancora pronte, perché manca l’effettivo utilizzo di questa tecnologia e servirebbe un cambio di mentalità. La consapevolezza di quanto sia importante la prevenzione non è ancora abbastanza e lo stesso vale per la conoscenza dell’intimità femminile», racconta Tomasello.
Oggi come oggi c’è una difficoltà anche all’atto pratico, perché tutta la tecnologia indossabile non è ancora stata sviluppata per poter essere utilizzata tutti i giorni, riutilizzata e riciclata; inoltre, è ancora complesso usare questo genere di tecnologia in ambito medico, per di più pensando ad un dispositivo morbido da accostare ai genitali. Anche in questo caso, come in molte altre cose, è necessario continuare a lavorare molto per incrementare la consapevolezza e decostruire i tabù, che affondano le radici in un problema che è, prima di tutto, culturale.
Queste le conclusioni di 16 laboratori partecipativi condotti online e offline da ALMA, per capire quali siano le esigenze delle donne relativamente alla salute intima e come possano percepire l’impiego della tecnologia per monitorare il proprio benessere. Dal 2018, con fondi europei e inglesi, hanno raccolto anche testimonianze podcast e video da più parti del mondo; da Rio de Janeiro alla Malesia, Italia, Svizzera e altri paesi europei.
Per aiutare le donne a famigliarizzare col proprio corpo e a percepire in modo meno estraneo il ricorso a tecnologie per il proprio benessere intimo, il team sta sviluppando ALMA Toolkit: un progetto slow-tech che si avvale di una serie di strumenti educativi progettati per normalizzare l’autogestione della salute intima femminile. Gli strumenti inclusi nel kit sono un set di speculum e modelli anatomici di vulve per educare a usare da sole lo speculum; protocolli e materiali per controllare e riconoscere i fluidi al microscopio; una piattaforma comunitaria online dove condividere le esperienze di autoesplorazione. Attraverso ALMA Toolkit le donne condividono liberamente esperienze di salute intima e si avvicinano a quelle forme di educazione, autocoscienza tipiche degli anni ‘70, quando la visita autoginecologica diventava uno strumento per fronteggiare la violenza medica e, soprattutto, favorire l’emancipazione delle donne stesse.
L’aspetto innovativo di ALMA Toolkit, ma anche di tutto il progetto in sé è legato non solo alla possibilità per le donne di fare prevenzione in prima persona e autoesplorazione, ma anche alla possibilità di dare un nome alle cose e, con esso, il diritto di esistere. Si vuole delineare e legittimare anche un linguaggio legato all’intimità femminile: ci sono parole che molte donne non usano per il senso di vergogna o i tabù sociali e che altre nemmeno conoscono, perché spesso molte culture non permettono, per esempio, di dare un nome a un dolore o un’emozione.