Futurispazigreensostenibilità

Il presente è continuo

A cura di Davide Sapienza
29 Ago 2023

Mi sono sempre chiesto se il futuro esiste davvero. Siamo una civiltà che vive sparpagliando la propria saggezza lungo una linea retta dopo avere abdicato all’idea ciclica della vita. Tesi verso progetti e impegni, crediamo di costruire il futuro affrontando problemi, cercando soluzioni, immaginando cose che sembrano volerci dire quanto il nostro presente non sia sufficiente. Nel suo La saggezza del dubbio (1951) Alan Watts scrive: «il mistero della vita non è un problema da risolvere, ma una realtà da sperimentare». Da millenni le forze ancestrali che regolano la scienza indigena ci mostrano come si onora ogni singolo giorno. Lo fanno perché il lascito di queste culture, ancora ben vive, ci spiega che la Vita è sempre: non domani, non ieri. Adesso. Se entriamo nell’ordine di idee di un presente continuo che si compone di tutti i nostri atti possiamo cogliere quel continuum che ho potuto sperimentare accanto a poeti nativi americani come Lance Henson e John Trudell, trascorrendo settimane sui ghiacci del Nunavut con gli Inuit, assorbendo quella semplicità per noi così difficile da ottenere, vivendo come facciamo dissociati tra spazio e tempo. Incapaci di gestire la potenza dell’attimo presente, ci perdiamo il meglio di noi stessi e sì, dei nostri progetti. Watts ci ha fatto capire che perdiamo l’attimo fuggente nel momento stesso in cui ci illudiamo di incorniciarlo:

«Ma è impossibile capire la vita e i suoi misteri se si cerca di afferrarla. Non la si può afferrare, proprio come non si può portar via un fiume in un secchio. Se cerchiamo di mettere nel secchio l’acqua che scorre, è chiaro che non la capiamo e che resteremo sempre delusi, perché nel secchio l’acqua non scorre. Per “avere” l’acqua che scorre dobbiamo lasciarla andare e lasciarla scorrere».

Progettiamo futuro per rassicurarci di esistere e di per sé non è un errore. Poi iniziamo a scambiare il dito per la luna e lentamente, da quando ancora bambini scorriamo in armonia con la vita, abbassiamo lo sguardo. I sensi vanno a bassa intensità e portiamo in giro il nostro secchio di acqua ferma, che un tempo era fluente e libera. Ecco il nostro presente continuo è quello che viviamo dentro quella che viene definita “Sesta Grande Estinzione di Massa”. Come ci siamo arrivati? Eravamo troppo occupati a pensare al “futuro”, che non ci siamo accorti del continuum. Del presente di ogni atto che ci ha condotto qui. Perciò non riusciamo a cogliere che l’unico “futuro” si chiama adattamento: è l’impulso primario della vita. Dalle rocce agli alberi ai funghi agli animali vertebrati e invertebrati ai miliardi di abitanti della massa di acqua salata, vedo, percepisco, verifico, che in questa Comunità della Terra, loro si adattano. E adattarsi è difficile, ma è possibile.

Ci hanno illuso, giocando con le parole e le prospettive negazioniste, che bisogna “salvare il pianeta”, quando da salvare siamo noi, la famiglia Homo sapiens. Il pianeta proseguirà nel suo cammino come ha fatto per questi primi quattro miliardi di anni. Non ha bisogno di noi. Noi abbiamo bisogno della Terra. Ma non con le linee rette dell’espansione economico finanziaria e della negazione stessa dell’essere umani. Il presente continuo ci avrebbe imposto di sapere che il futuro del secchio dentro il quale l’acqua non scorre passa dalla strettoia evolutiva della presa di coscienza. Della responsabilità e del saperci ritrarre dalle ipertrofie consumistiche e verso dimensioni più miti. Potremo noi vivere sulla Terra? Non possiamo saperlo. I numeri sono una cosa, il respiro della vita è la realtà: sviluppare prodotti e tecnologie, invece dell’essere umani e della cultura fatta di contenuti, difficilmente vedrà Homo sapiens scoprire il presente continuo, in futuro: «Se crediamo nella terra, lei crederà in noi. Non c’è benedizione più grande che essere creduti. Ci son quelli che credono che la terra sia morta. S’ingannano. La terra è viva e dotata di spirito» (N. Scott Momaday, Custode della terra, 2020.

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