IL MONDO È BELLO PERCHÉ È VARIO

09 Mar 2021

Antonia Del Vecchio

Il mondo è bello perché è vario. In questa banale, semplice affermazione risiede quello che c’è di più vero quando ci approcciamo al tema dell’importanza di includere e valorizzare le unicità!
Eppure, sebbene apparentemente così banale ad oggi sembra ancora così difficile farlo capire.
Era il 1990 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità cancellava l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali.
Il processo che portò a tale decisione durò ben 20 anni.
È innegabile che siano stati fatti molti progressi negli anni, ma purtroppo ancora in molti Paesi esistono addirittura pratiche/terapie per “guarire” dall’omosessualità.
Se volete farvi un’idea di cosa possa accadere in alcuni paesi che condannano le relazioni omosessuali basta ascoltare un famoso singolo portato alla ribalta non molti anni fa da un cantautore irlandese: Take me to church, e guardarne il video.

Il video e la canzone raccontano la storia d’amore fra due ragazzi dello stesso sesso, che diventano vittime di violenza gratuita da parte della comunità contraria alla loro relazione omosessuale.
Poco da aggiungere se non che tutto questo succede a causa di una mancanza di informazione e di cultura.
E nelle aziende che sono lo specchio della società, invece, cosa succede?
Sebbene da anni mi occupi di promuovere la cultura della diversità nelle aziende, lo scenario è sempre lo stesso. Ci sono aziende virtuose ma molte altre dove il tema rimane un tabù.
Ancora troppo spesso si sente parlare di stereotipi legati al ruolo che nella maggioranza dei casi limitano le chance legate alle opportunità di lavoro. Molte persone LGBT piuttosto che scontrarsi con questa triste realtà finiscono per non cercare un’occupazione, oppure scelgono di lavorare in quei contesti già noti dove lo stigma è stato superato, altri ancora decidono di cogliere opportunità imprenditoriali dove la scelta la fa il mercato.
C’è anche un’altra possibilità e cioè quella legata al nascondere la propria identità.
Pensate a come vi sentireste se foste obbligati nella vostra vita a essere qualcun altro.
A vestire panni di altri e a lasciare a casa le vostre emozioni. Tutti i giorni.
Non essere sé stessi crea barriere invisibili che limitano il potenziale e l’espressione piena delle competenze. Questo continuo nascondere la propria identità è un imponente fonte di stress. Oggi che nelle aziende si parla di benessere del lavoratore, di azioni di prevenzione per la salute fisica e psichica risulta imprescindibile non pensare a questa realtà. Una realtà sempre più globalizzata e complessa.
Sono innumerevoli gli studi che dimostrano l’efficacia di intraprendere percorsi di Diversity management. Questi studi dimostrano quanto le strategie nella D&I abbiano effetti sulla competitività, per esempio: migliorano la comprensione del mercato che porta a una maggiore capacità di attrarre una clientela più ampia. Internamente si noterà una maggiore creatività del team di lavoro, un aumento dell’engagement del dipendente con conseguente riduzione dei costi legati al turnover.
Un dipendente che può essere sé stesso davanti alla macchinetta del caffè raccontando della sua vera vita è un dipendente che vive l’azienda come un contesto non ostile, ma un luogo dove poter dare il meglio di sé perché riconosciuto per il suo reale valore.
Per quanto un’azienda possa fare investimenti tecnologici, l’elemento che la contraddistinguerà sempre rispetto alla concorrenza sarà il contributo umano, e il vero vantaggio sarà dato dal risultato di come le differenze di ciascuno si fonderanno.
Ma per fare ciò si dovrà essere preparati per non ricorrere nei rischi legati all’eterogeneità e a una non appropriata gestione delle diversità che richiede il giusto equilibrio tra l’esigenza di innovazione, di adeguate strategie di analisi, definizione e soluzione dei problemi e le necessità di coerenza organizzativa.
All’inizio ho affermato che le aziende sono lo specchio della società e se questo è vero sarà anche vero il contrario.
Perché tutte le iniziative volte alla diffusione della cultura della diversità in azienda verranno poi trasmesse dai dipendenti alle proprie famiglie e ai propri figli, innescando inconsapevolmente una cultura sull’argomento e un clima di inclusione in tutti i contesti.
In Synergie, azienda per cui lavoro da anni, sia in Italia che all’estero si è sempre creduto fermamente nel valore delle diversità. In Italia anche con la figura del mio collega Francesco D’Arrigo, Responsabile Talent Acquisition e Organizzazione e Sviluppo, l’azienda ha fatto una scelta chiara.
Francesco ha sperimentato in prima persona l’esclusione e ha costantemente ricercato per sé stesso l’inclusione. L’impegno d’ora in avanti per Synergie con lui sarà rivedere i modelli organizzativi, i nuovi ruoli, i percorsi di crescita e formativi, orientati alla valorizzazione delle diversità.

Le intenzioni di Synergie Italia trovano la migliore espressione nelle stesse parole di Francesco: “la persona è un sistema ricco e complesso... non è una categoria, non è una sola cosa, è molte cose... ed è fondamentale mettere la luce sul mondo “persona”, con tutto il ricco bagaglio di emozioni... perché qui troviamo il potenziale e il potenziale si appoggia sulla diversità, che in questa chiave diventa Unicità e Valore”.

Per concludere, purtroppo molti recruiter e/o chi si occupa di sviluppo dei dipendenti interni, non sono ancora abbastanza preparati a fare una valutazione scevra da pregiudizi, consci e/o inconsci, a discapito della scelta di un candidato più qualificato per quel lavoro. A volte questi stessi pregiudizi sono solo frutto di una costruzione basata su un immaginario, molto spesso non verificato. Al selezionatore, che di mestiere sceglie i migliori talenti per la sua azienda affinché contribuiscano a incrementarne i risultati, deve essere chiaro che includere le diversità significa aumentare il bagaglio di competenze e ciò è indispensabile in un periodo come questo, sconvolto dagli effetti della Pandemia, per potersi riprendere rapidamente potendo sfruttare il più possibile tutti i talenti presenti.

Antonia Del Vecchio
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