IL MALE OSCURO NELL’INFANZIA DEI PAESI IN GUERRA
La guerra spezza legami, famiglie e paesi interi, sparge violenza, distruzione, malattie, abusi e povertà. Insieme ad essi, diffonde un senso di paura e di insicurezza profonda che demolisce e blocca ogni possibilità di benessere e qualsiasi forma di diritto umano. In particolare, per i bambini e le bambine che vivono nei paesi in guerra, l’esperienza è profondamente traumatica.
Nel 2022 e nel 2023 è avvenuto il più alto numero di violazioni e di situazioni di preoccupazione per la condizione dei bambini e delle bambine in molte zone di conflitto, tra le quali Haiti, Niger, Etiopia, Mozambico, Ucraina e, in particolare, in quelle che registrano conflitti di lunga durata, come per esempio quelli nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Afghanistan, in Israele e nello Stato di Palestina. In queste zone le violazioni sono continue e sistematiche da decenni e presentano una gravissima escalation nella tragica attualità, con violazioni dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in continuo peggioramento. In Ucraina, il bilancio delle vittime civili e, in particolare, dei minori, cresce sempre di più, nell’ambito di un conflitto senza tregua in cui gli obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario e dei diritti umani non sono garantiti, così come non lo è la sicurezza dei civili e degli oggetti civili, compresi quelli utilizzati dai bambini e dalle bambine come case, scuole e ospedali. In Sudan, dopo lo scoppio dei combattimenti di aprile 2023, più di un milione di neonat*, bambin*, sono stat* sfollat* dalle loro case e dagli orfanotrofi verso luoghi più sicuri del Paese. Solo nell’ospedale di Mazar-i-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, ogni mese circa 3000 bambin* arrivano in seguito alle gravi lacune dell’assistenza pediatrica e neonatale. A Gaza da mesi nessun luogo è più sicuro: due milioni di persone sono bloccate in una terra di scontri e violenza inaudita dove perfino gli ospedali sono stati evacuati perché ritenuti pericolosi. Peraltro, l’aumento di casi di negazione di accesso agli aiuti umanitari - con attacchi ai fornitori di servizi umanitari, restrizioni al movimento di operatori e operatrici umanitarie e le interferenze con l'attuazione delle loro attività - rappresenta oggi una tendenza inedita e allarmante. Milioni di bambine e di bambini – ciascun* delle-dei quali con un nome, un cognome, una storia - sono ferit*, malnutrit*, rapit*, maltrattat*, stuprat*, mutilat*, armat*, arruolat*, uccis* durante la guerra che ha coinvolto e coinvolge il loro paese. A loro con violenza brutale vengono sottratti la casa, la famiglia, la scuola, l’acqua, il cibo, le cure, i farmaci, le amicizie, l’affetto: mancano loro cioè tutte le più essenziali fonti di sopravvivenza e di sicurezza umana. Manca loro il nutrimento del corpo e quello dell’anima, il che significa una condanna al dolore straziante - al male oscuro che si insinua dentro - quando non alla morte. Secondo il settimo rapporto di Save the Children su bambini e bambine che vivono in aree di conflitto (Stop the war on children: the forgotten ones, 2023), la guerra ha infatti un impatto devastante sulla loro salute mentale. Il terrore e l’oppressione della guerra provocano disturbi post traumatici che restano nel tempo: innanzitutto ansia, solitudine, insicurezza, che possono causare disturbi alimentari e del sonno, enuresi notturna, ma anche difficoltà relazionali e ritiro emotivo come meccanismo di difesa, isolamento sociale, aggressività, sintomi psicosomatici come dolori fisici e difficoltà a muoversi, a esprimersi e a comunicare fino a comportamenti devianti, come l’abuso di sostanze stupefacenti e di alcool, comportamenti autolesionistici e tendenza al suicidio.
Diversi studi evidenziano significativi problemi di adattamento e disturbi psicologici in gruppi di bambin* e di adolescenti migranti e richiedenti asilo provenienti da paesi in conflitto, con incidenze maggiori rispetto a campioni di minori che non hanno vissuto l’esperienza buia della guerra. Secondo alcuni esperti SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale), è difficile immaginare le prospettive di vita futura di bambin* e adolescenti che hanno vissuto tali soprusi al proprio benessere: in una percentuale ridotta è presumibile che i disturbi psicologici possano rimanere per sempre, mentre le capacità intrinseche di sopravvivenza nelle situazioni più tragiche possono aprire a possibilità di fronteggiare i danni. Certo questo richiede un impegno serio e duraturo su larga scala, attraverso supporti psicologici, medico-sanitari, educativi e di cura coerenti e integrati, per tutt* i bambini e le bambine che non abbiamo saputo proteggere dalla guerra e per le loro famiglie. E ciò interroga l’ambiguità delle politiche di molti paesi, compresa l’Italia, che se da un lato dichiarano un impegno nella promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dall’altro forniscono aiuti militari a Paesi che usano minorenni nelle forze di sicurezza.