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IL LUSSO DI CELEBRARE I FALLIMENTI

A cura di Francesco Reale
24 Giu 2024

Da tempo osservo e ascolto delle strane creature: i genitori. Anche io lo sono ed una sana autocritica, alla mia età e con figli ormai maggiorenni, sento sia legittima. Una riflessione intima che condivido per uscire da un concetto di famiglia che i dati e la società smentiscono. Raccogliamo oggi quello che abbiamo inconsciamente seminato e, quando i frutti non ci piacciono, tendiamo a mettere la testa sotto la sabbia o a dare delle letture molto personalizzate e di facciata. Abbiamo caricato i nostri figli e le nostre figlie di aspettative, di ansie e di sogni: i nostri però.

Abbiamo dato per scontato che, pensare al futuro e ad una propria realizzazione nel lavoro fosse il mantra da seguire. ‘Studia e vedrai, impegnati e vedrai, fai sacrifici e vedrai’. Al contempo abbiamo continuato a diffondere una cultura tossica del lavoro lamentandoci per ogni cosa e per anni (in treno se non si è chinati sul cellulare si sente parlare solo di lavoro e di colleghi/e). A volte però alla festa di fine anno non c’eravamo perché in trasferta, alla finale del torneo c’era la convention aziendale imperdibile, a cena arrivavamo tardi e, a volte, abbiamo accettato di lavorare fuori sede, lontani per molto tempo, troppo. Il lavoro. Così centrale, così legato al successo e alla realizzazione per la mia generazione e così lontano per i nostri figli e le nostre figlie, sarà un caso?

Abbiamo condiviso poco i nostri fallimenti, le nostre scelte, le nostre ansie, le nostre paure alla loro età, perché volevamo che i nostri figli e le nostre figlie crescessero sereni/e, che avessero una mente libera da pensieri negativi, come nelle favole. Involontariamente per troppo amore li/e abbiamo resi/e troppo fragili e a questo si sono aggiunti due anni di isolamento in piena adolescenza per la pandemia. Ma la cosa più incredibile è che, questa educazione priva di responsabilità, di sacrifici, di dolori ed epurata da qualsiasi pensiero negativo è stata trasformata in una gara senza confini di celebrazione del successo che ha spazzato via l’errore, ha cancellato il fallimento, ha eliminato la preoccupazione per il futuro che invece ci consuma. Abbiamo reso protagonisti la competizione, la prestazione, il risultato, il successo.

Ed ecco che ad ogni cena, ad ogni serata, ad ogni incontro parte questa narrazione incentrata sui successi dei figli e delle figlie, che peraltro non hanno mai chiesto di essere celebrati/e ma solo accettati/e per quello che sono, con le loro debolezze, le loro fragilità e il loro talento. Una gara di voti, di esami all’università, di successi sportivi, lavorativi, di master, di quarto anno all’estero, persino una festa di compleanno diventa oggetto di narrazione straordinaria. Non ti chiedono che scuola fa tuo figlio/a ma che liceo, non che lavoro fa, ma che facoltà; una visione di una provincia borghese e opulenta la mia, lo ammetto, ma non così lontana da molte altre realtà credo.

Le imprese dei bambini e delle bambine sono sempre divertenti, il combinare guai fa sorridere, si sbaglia e si cresce. Le imprese degli/delle adolescenti sono terribili, ti tolgono il sonno ma è fondamentale non condividerle, mai parlarne, mai mostrare debolezza perché ne saremmo responsabili e invece non vogliamo offuscare la nostra autostima, la nostra immagine, il bene della nostra famiglia. Una sorta di autodifesa che invece aggiunge ansia e solitudine all’essere genitori e non è di nessun aiuto per gli altri genitori e per altre famiglie.

Che peccato! Un silenzio che cancella la fragilità e l’insuccesso, li demonizza e così facendo isola le persone e aumenta l’angoscia. E chi è molto fragile e già isolato/a, in questo clima, è ancora più isolato/a e ancora più fragile: diventa difficile anche chiedere aiuto perché bisogna prima riconoscere di averne bisogno.

Come sarebbe bello celebrare i fallimenti, riaffermare i valori, raccontare e condividere con naturalezza le proprie angosce, i propri errori, i dubbi legittimi, da genitori a genitori. Quale miglior canale? Sarebbe più facile fare il genitore, costruire relazioni sincere e di mutuo aiuto, affrontare insieme le tempeste e sentirsi una famiglia come molte altre e non un brand da posizionare.

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