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IL GRANDE COCOMERO

Regia di Francesca Archibugi. Un film con Anna Galiena, Sergio Castellitto, Alessia Fugardi, Victor Cavallo, Gigi Reder. Genere Commedia - Italia, 1993
A cura di Paola Suardi
27 Mar 2024

Un film del 1993, con Francesca Archibugi alla sua terza regia, che si aggiudica tre David di Donatello.

Il film nasce dall’esperienza del dottor Marco Lombardo Radice, innovativo neuropsichiatra infantile scomparso prematuramente a quarant’anni nel 1989 (il co-autore con Lidia Ravera di “Porci con le ali”, per intenderci).

Nel film, attraverso il protagonista Arturo, si ritrova l’esperienza di Lombardo Radice che “chiamato giovanissimo a dirigere il II Reparto dell'Istituto Neuropsichiatrico di Via dei Sabelli, anche in conflitto con i propri colleghi, compì una vera "rivoluzione", aprendo le porte del reparto, organizzando uscite dei-delle giovani pazienti e richiedendo il coinvolgimento pieno di tutti gli operatori e tutte le operatrici, infermier3 compres3. Tutto ciò, in ossequio alla propria tesi che, in età giovanile, i conflitti, spesso legati a difficili situazioni sociali, possono essere risolti positivamente” (Wikipedia). 

L’aspetto politico della vicenda narrata da Archibugi è senz’altro presente ma non è il focus principale di questo film, che scegliamo perché affronta con lievità e incisività il tema del disagio mentale infantile. Lo fa in una cornice di commedia riuscendo così a tenere viva l’attenzione dall’inizio alla fine della pellicola, allargando l’obiettivo dalla vicenda della tredicenne Valentina, detta Pippi, a chi la circonda dentro e fuori l’ospedale neuropsichiatrico. 

Lo fa fotografando il contesto ospedaliero, le sue carenze, i diversi disagi che non riguardano solo i-le pazienti - giovanissim3 e adolescenti colpit3 da patologie mentali aggravate dall’incomprensione e dall’imbarazzo della società nell’affrontarle - ma anche chi ci lavora, con problemi di sovraccarico di lavoro e personali, e le famiglie dei-delle pazienti, spesso impreparate ad andare oltre le cure farmacologiche per i propri figli e le proprie figlie.

Il burn out dell’infermiera apparentemente “cattiva”, le rivendicazioni sindacali del personale, le aspirazioni professionali e sentimentali del protagonista, le ingenuità di Michelone, l’assenza di Luigino, l’ossessione per le “linee rotte” di un altro giovane paziente, l’epilessia di Pippi, la cerebrolesione gravissima di Marinella: Archibugi non tralascia nulla, componendo un testo delicato ed equilibrato in cui, grazie ad una sceneggiatura intelligente, regia e recitazione sapienti, emerge l’umanità ricca di chi narra ed è narrat3, che è la chiave stessa della cauta speranza che infonde il film. 

Non volendo spoilerare la trama, auspicando che chi ci legge desideri visionare “Il grande cocomero”, ci limitiamo a sottolineare che in questa narrazione, apparentemente leggera, ci sono immagini eloquenti e studiate fin dalla prima inquadratura, dove la tenda aperta per iniziare la giornata scopre le sbarre alla finestra, e i rozzi gesti routinari delle infermiere sono giustapposti alle immagini dei diversi visi dei-delle giovani pazienti nei diversi modi di reagire al brusco risveglio.

Tenerezza e rispetto vengono immediatamente evocati e invocati. E poi un altro esempio: quando Arturo-Castellitto sfonda a martellate una parete per allargare il proprio appartamento a un locale adiacente dove si ritroverà con collegh3, amici e amiche per studiare e approfondire i casi dei-delle divers3 pazienti, la regista ci rappresenta proprio il gravoso lavoro di Lombardo Radice nell’abbattere i pregiudizi di una certa psichiatria. Ma è nelle scene con l’amico sacerdote che il film lascia un segno potente. Non solo don Annibale - interpretato dall’ottimo e dolente Victor Cavallo – ci restituisce quel mondo capace di accogliere le persone fragili e incapace di rifiutarle, così vicino anche se distante dalle istituzioni, ma è proprio don Annibale a pronunciare durante il funerale la domanda tratta dall’”Idiota” di Dostoevskij “Perché Signore i bambini muoiono?”, e a reitirarla nella funzione “Signore perché? Cristo perché? Signore perché?”, sostituendola alla parola “pietà”. Come a dirci che il rispetto e la cura verso le altre persone nascono dalla tenacia di interrogarci. È qui che scienza e sociale si incontrano in una sorta di religione civile che ci dà la ragione di alzarci la mattina - quella ragione che Arturo cerca e trova in Pippi - e di sperare nel Grande Cocomero…

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