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Il futuro è cambiamento

Openjobmetis: cerchiamo l’equilibrio tra persone e aziende
A cura di Francesca Lai
04 Lug 2023

Grandi dimissioni, lavoro ibrido, difficoltà a ingaggiare talenti. Qual è il ruolo delle agenzie per il lavoro ora e nel futuro?

“Trovare equilibrio nella  disruption in atto”, dice Elisa Fagotto, candidate manager di Openjobmetis S.p.A., l’agenzia per il lavoro attiva nella somministrazione, ricerca, ricollocazione e formazione del personale. Fortemente impegnata nell’ambito dell’inclusione lavorativa e sociale, l’agenzia sostiene la dignità del lavoro, l’opportunità di impiego per qualsiasi individuo nella totale legalità e nel rispetto delle sue unicità. E non solo: nel 2022 UNHCR (Agenzia ONU per i rifugiati) ha conferito a Openjobmetis il logo “Welcome. Working for refugee integration”, come riconoscimento del rilevante impegno dimostrato nella promozione di interventi specifici per l’inserimento lavorativo dei rifugiati, richiedenti asilo e beneficiari di protezione attraverso programmi di tirocinio e di formazione durante l’anno 2021.

Per essere efficaci guide in un mondo che cambia alla velocità del pensiero, realtà come Openjobmetis devono essere più che mai presenti nella società, intercettare i trend prima ancora che diventino tali. Capire il cambiamento prima che si verifichi perché, senza di esso, non c’è futuro.

Elisa, all’inizio della sua carriera quale sensazione provava pensando al futuro?

Positività. Nella vita e nella professione, in cui la perfezione non esiste, siamo tutt* artefici del nostro destino. Il futuro mi ricorda il surf, la mia grande passione: per raggiungerlo dobbiamo trovare l’equilibrio tra le onde degli avvenimenti.

In cosa consiste il suo lavoro?

Far sì che la mission di Openjobmetis diventi concreta, ossia: rendere il mondo del lavoro accessibile a tutt* i candidati e le candidate. Questo si declina in una serie di attività: fare cultura nel mondo del lavoro; trovare un punto di incontro tra il fabbisogno dell’azienda e quello del mercato del lavoro, rappresentato dalle persone che cercano un impiego; supportare colleghi e colleghe nelle attività di talent attraction e nel dialogo con le aziende in un contesto in repentina evoluzione.

“Cerchiamo candidat* ma non ne troviamo”, “Il lavoro esiste, ma non c’è la voglia di farlo”... quante volte abbiamo trovato queste dichiarazioni sui giornali o in tv, spesso rivolte ai giovani? Ma è davvero così?

Siamo immersi nell’epoca della complessità. Nel mercato di oggi è difficile orientarsi: ci sono competenze e skills da apprendere sempre, ogni giorno nasce un nuovo mestiere. Oggi il cambiamento avviene con rapidità maggiore rispetto al passato – e sarà sempre più celere domani. Pensiamo a questo fenomeno: dal primo cellulare al primo sms sono passati quindici anni. Un tempo le evoluzioni tecnologiche richiedevano tempistiche maggiori. Oggi, invece, siamo di fronte a un mondo in cui la trasformazione, che sia tecnologica o in altro ambito, è molto più veloce. Questo ha un forte impatto sulla realtà del lavoro, che non è una entità statica, ma anzi, viene influenzata da tutto ciò che accade intorno: le scelte politiche, il cambiamento climatico, le crisi economiche.

Questo cosa comporta?

Uno skill gap. Il mercato non è in grado di rispondere alle esigenze di nuove competenze, siano hard o soft. Non solo: in un Paese come il nostro, di forte impronta manifatturiera, mancano persone capaci di svolgere mestieri legati al passato.

Perché?

Le ragioni sono plurime. Innanzitutto, bisognerebbe raccontare le professioni in modo diverso: l’operaio di oggi non fa le stesse cose di quindici anni fa. Altri ragionamenti vanno fatti sul tasso di natalità decrescente e il tasso di NEET crescente. Se il 30% dei giovani sono NEET, vuol dire che le aziende perdono una grossa fetta di forza lavoro relativa a quella fascia. Quindi dire che i giovani non hanno voglia di lavorare è banalizzare una complessità.

Quali altre complessità incidono?

I candidati hanno un approccio diverso al mondo del lavoro: vogliono sapere, conoscere. La grande sfida per le aziende è cambiare il patto con i dipendenti, è essere consapevoli che ogni individuo ha necessità diverse. Serve, quindi, trovare un nuovo equilibrio tra Organizzazione e lavorator*. Del resto, gli under 25 basano la propria scelta lavorativa su valori che nelle generazioni precedenti non erano considerati tali. Nelle aziende, inoltre, convivono generazioni di professionist* con esigenze completamente diverse. La capacità di saper attuare rapidamente processi di upskilling e reskilling sul lavoro è fondamentale e inevitabile, ma comporta fatica perché non tutti hanno predisposizione al cambiamento e questa diminuisce con l’aumentare dell’età.

Ha mai avvertito paura di cambiare (anche inconscia) nelle aziende e nelle persone?

Certo, spesso. Credo sia una reazione umana. Pensiamo alle soft skill: oggi hanno un ruolo preponderante e sono abilità che, a parità di competenze, determinano il successo di una persona. Come detto prima, il concetto di upskilling e reskilling permanente non è ancora stato accettato da tutt*, perché vuol dire uscire dalla propria zona di comfort e mettersi in gioco. Ma il futuro è cambiamento, è un percorso di crescita continua e incessante.

In Italia è stato per lungo tempo attuato un approccio parentale nella gestione dei dipendenti. Non è pensabile oggi, quando è completamente cambiato il modello di leadership: oggi si delegano i compiti, si responsabilizzano le risorse. Il/la leader deve essere in linea con aspettative e necessità delle persone che sono pienamente consapevoli del fatto che si può lavorare in modo diverso.

Infine, ora, dopo una lunga carriera, che cosa le viene in mente pensando al futuro?

Ancora e sempre positività. Il futuro è speranza e legacy. Il futuro sono i miei figli e tutt* coloro che verranno dopo di noi.

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