Salute MentalelavoropersoneSalute mentale

IL FENOMENO DEL BURN-OUT E DEI C.D., RISCHI PSICOSOCIALI IN AMBITO LAVORATIVO ALLA LUCE DEL PIÙ RECENTE ORIENTAMENTO DELLA CASSAZIONE

A cura di di Avv. Simonetta Candela e Avv. Marina Mobiglia, Clifford Chance Milano
28 Mar 2024

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) oltre 300 milioni di persone nel mondo soffrono di disturbi mentali legati al contesto lavorativo, tra questi: ansia, depressione ed esaurimento.

Il dato dell’OMS fa riferimento al 2021 e quelle sopra elencate sono le varie sfaccettature del c.d. burn-out, sindrome che diversi studi danno ulteriormente in crescita nel 2023, aggravata, soprattutto per le persone più giovani, a seguito del lock down. Si stima, infatti, che la pandemia abbia incrementato di oltre il 25% i disturbi.

È molto importante che le aziende tengano conto di questo fenomeno, poiché esso è strettamente associato al deterioramento dell’esperienza lavorativa e all’aumento della conflittualità.

Secondo alcune ricerche:

● Il burnout è strettamente associato al degrado delle prestazioni lavorative, tra cui il 32% diproduttività e il 60% di minore capacità di concentrazione;

● I/Le dipendenti in burnout si sentono molto meno legati all’azienda: hanno 2 volte più probabilità di sentirsi lontani dai valori aziendali, dai loro manager e dai loro team;

● Il burnout è anche un importante fattore di conflitto con l’azienda: le persone in burnout riferiscono di avere 3 volte più probabilità di cercare un nuovo lavoro nel prossimo anno.

Il problema è noto ed è grave, ha un impatto molto rilevante anche sui risultati aziendali (si parla di miliardi di euro fra costi e mancata produzione economica).

Le condizioni di salute mentale oltre ad avere ripercussioni importanti per le aziende in termini di assenteismo, cali della produttività, turnover, peggior servizio alla clientela, gap generazionali, possono avere conseguenze rilevanti anche in termini di esborsi per il risarcimento dei danni, quando ritenuti imputabili al datore o alla datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c. oltre che impatti reputazionali significativi.

Venendo ai profili strettamente giuridici, preme evidenziare il recente trend giurisprudenziale, sfociato nelle recentissime pronunce della Corte di Cassazione (Casaz. n. 3692/2023; n. 35235/2022; n. 33639/2022; n. 33428/2022; n. 24339/2022), che analizza la natura “stressogena” delle condotte datoriali o di determinati ambienti di lavoro e identifica lo stress lavoro correlato quale categoria in cui collocare questioni di conflittualità interpersonale sul lavoro o negligenza organizzativa imputabili al datore o alla datrice di lavoro ex art. 2087 c.c., anche quando il lavoratore o la lavoratrice non siano riusciti a provare gli elementi tipicamente associati al c.d. mobbing o straining.

In altre parole, la Corte di Cassazione, dopo che i ricorsi per mobbing presentati dai lavoratori e dalle lavoratrici erano stati rigettati dai Giudici di merito, ha invece riqualificato quali situazioni stressogene gli elementi di fatto provati dagli stessi/stesse, pervenendo comunque alla condanna del datore o della datrice di lavoro al risarcimento dei danni.

Nelle sentenze sopra ricordate è stata valorizzata una prospettiva di progressiva rilevanza della dimensione organizzativa quale fattore di rischio per la salute dei lavoratori e delle lavoratrici, imponendo come prioritaria “l’obbligazione di sicurezza gravante sul datore di lavoro, che consente di configurare la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento - imputabile anche solo per colpa - che si ponga in nesso causale con un danno alla salute”.

Il Giudice potrà quindi riqualificare il caso nel più ampio paradigma dello stress lavoro correlato ai sensi dell’art. 2087 c.c., con conseguente obbligo risarcitorio in capo al datore o alla datrice di lavoro laddove non adempia al suo obbligo di tutelare “l’integrità fisica e la personalità morale” del/della dipendente (secondo quanto previsto dall’art. 2087 c.c.) ovvero la “salute del dipendente”, intesa, secondo la definizione dell’OMS fatta propria dall’art. 2, comma 1, lettera o) del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o infermità.

”Questo passaggio assume rilevanza in quanto determina la risarcibilità del danno non patrimoniale anche laddove non sia integrata una specifica “malattia”.

Ne consegue la necessità da parte delle imprese di prestare crescente attenzione al fenomeno sotto il profilo organizzativo, non solo al fine di incrementare la redditività o trattenere i dipendenti in azienda, ma anche al fine di evitare situazioni che possano dare origine a conseguenze risarcitorie e reputazionali.

Leggi questo numero
Registrazione Tribunale di Bergamo n° 04 del 09 Aprile 2018, sede legale via XXIV maggio 8, 24128 BG, P.IVA 03930140169. Impaginazione e stampa a cura di Sestante Editore Srl. Copyright: tutto il materiale sottoscritto dalla redazione e dai nostri collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione/Non commerciale/Condividi allo stesso modo 3.0/. Può essere riprodotto a patto di citare DIVERCITY magazine, di condividerlo con la stessa licenza e di non usarlo per fini commerciali.
magnifiercrosschevron-down