IL CORAGGIO DI ESSERE SE STESSE
Io chi sono? Tre parole per una sola grande domanda.
Quanto potrà essere difficile trovare una risposta? Infinitamente difficile. La ricerca di sé è un percorso intenso, a volte doloroso, che può durare una vita intera.
Dopo aver chiacchierato con Silvia e Anna, una strana sensazione di completezza e leggerezza pervade la stanza. Due voci diverse, entrambe forti e determinate, hanno ricordato una verità non così scontata: serve coraggio per essere se stesse.
“Quando avevo tre anni e mezzo i medici hanno scoperto che ero sorda. Ho fatto un lungo percorso di logopedia che ha dato ottimi risultati e ora, anche grazie all’uso delle protesi, a modo mio posso sentire – spiega Silvia Bennardo,Solutions Developer Enel - Spesso le persone, quando mi incontrano per la prima volta, non si accorgono subito della mia disabilità: è invisibile, lo so, ma c’è!”.
“Sono una donna lavoratrice, madre di due splendidi figli, felicemente separata, innamorata della mia compagna – racconta Anna Abeniacar, Customer Stakeholder Manager Enel - E ho scoperto come una sola piccola vocale (“a” al posto di “o”) cambi il percepito delle persone. Oggi sono orgogliosa di aver accettato e condiviso la parte omosessuale di me, per troppo tempo lasciata in cantina”.
Silvia, ti sei mai sentita mal interpretata dagli altri? O che la tua identità venga subito “catalogata”?
A volte sembro una persona timida o che si dà delle arie - dice Silvia - ma in realtà, non lo sono. Semplicemente quando le persone mi parlano standomi alle spalle, non leggo il labiale quindi non rispondo. Oppure mi è capitato di sentirmi dire, una volta svelata la mia disabilità: “Sei una ragazza così bella! Non si direbbe che sei sorda”... ma le due cose non sono connesse!!!
A volte vorrei che la mia disabilità fosse immediatamente percepibile da tutt*. Questo accade quando gioco con la Nazionale di Beach Volley e Pallavolo in cui siamo tutte sorde. Tolgo le protesi, mi concentro sulla partita, sono me stessa: libera, serena, sicura di essere compresa dalle compagne di squadra.
C’è un momento della tua vita in cui hai preso totale coscienza del fatto che essere sorda fosse considerato dagli altri come una disabilità?
Sì, è arrivato al termine di un lungo percorso psicologico che ho intrapreso ai tempi dell’università. Non riuscivo a integrarmi. Decidere di concentrare tutte le energie su me stessa è stata la scelta migliore: ho acquisito molta consapevolezza. Oggi ho molt* amiche e amici che sono udenti e riescono a farmi sentire a mio agio, pur non essendo una cosa semplice da realizzare, me ne rendo conto.
Anna annuisce alle parole di Silvia, e la domanda nasce spontanea: Anna cosa è successo dopo il tuo coming out?
Il coming out nella mia famiglia ha suscitato reazioni opposte: di rifiuto, come nel caso di mia sorella maggiore; di comprensione e amore da parte dei miei figli e del mio ex marito, che rimane fedele sostenitore della mia felicità.
È stata una rivelazione da gestire, lo so. Oggi c’è un nuovo equilibrio, stiamo tutti bene: io, i miei figli, il loro papà e la mia compagna.
Anche nel contesto aziendale il coming out è stato fondamentale. A giugno 2022, quando il team D&I ha organizzato un webinar sull’orientamento affettivo, ho preso coraggio e ho raccontato tutta la mia storia. Per me è stata come la divisione del tempo in due diverse ere. Al lavoro adesso sono più a mio agio e questo mi ha regalato una nuova assertività. Ho imparato che l’inclusione è possibile solo quando siamo tranquille, quando parte da noi stesse. La responsabilità del cambiamento è anche nostra: con serenità dobbiamo, ogni giorno, diffondere l’idea che la diversità è cosa buona e giusta. L’importante è circondarsi di persone termoconduttrici, per fare un esempio che ha molto a che vedere con la mia azienda, in grado di emanare calore e riceverlo. Uno scambio continuo.
Ci sono delle identità meno accettate delle altre, nel nostro Paese oggi?
Silvia: Percepisco con molta negatività la pressione dei social in cui viene costantemente veicolato il mantra dell’apparire perfetti - ma poi quale è la definizione di perfetto?! - Quando ero adolescente non accettavo la mia sordità. Molt* oggi soffrono perché non raggiungono quei canoni che i social, il consumismo e la società in generale ci hanno imposto ma che non ci definiscono. Siamo molto di più.
Anna: Mi torna in mente un episodio del passato. In televisione veniva intervistato un calciatore nero , ebreo e omosessuale.“Qual è la diversità che lo identifica maggiormente?”. Come veniamo percepiti è qualcosa che parte anche da noi, dalla nostra capacità di trasmettere tranquillità e dal coraggio di confrontarsi con chi ha paura delle diversità, con chi ha un pensiero differente dal nostro. Solo così si può raggiungere un cambiamento.
Qual è l’aspetto che più amate della vostra identità?
Silvia: La mia disabilità mi ha dato l’opportunità di vivere esperienze uniche, come far parte della nazionale sorde di beach volley e di partecipare alle Olimpiadi, sia in Turchia che in Brasile. La sordità mi ha resa ciò che sono: una giovane donna che prova per gli altri sensibilità ed empatia con assoluta spontaneità.
Anna: Sono orgogliosa di me stessa, di aver avuto il coraggio di far uscire allo scoperto una parte di me troppo a lungo negata a me stessa. Avrei potuto accorgermene prima? Certo. Avrei evitato dolori e scombussolamenti. Ma non avevo gli strumenti per farlo, sono cresciuta in una famiglia tradizionale, borghese, dove l’unica relazione pensabile era quella eterosessuale. I riti di passaggio sono dolorosi, ma imprescindibili: ora sono una donna soddisfatta, felice del calore dato e ricevuto dalle persone che amo. Se non mi fossi messa in gioco sarei stata una madre infelice, incapace quindi di crescere figli felici.