
IL CORAGGIO DI ESSERE ADULTI DI RIFERIMENTO NELL’ERA DIGITALE
L’etichetta di “nativi digitali”, nata nel 2001, è attribuita a coloro che, nati in epoche e contesti tecnologicamente avanzati, vengono considerati competenti per natura circa l’uso della tecnologia perché facilmente e perennemente esposti ad essa. Smartphone, tablet, tv, pc, videogiochi e internet sono del resto oggi facilmente accessibili in molti contesti familiari, scolastici ed extrascolastici. La pandemia da Covid 19, imponendo un lungo confinamento domestico, la chiusura delle scuole e il passaggio alla didattica a distanza, ha causato l’aumento delle situazioni di povertà educativa nell’infanzia e, in particolare, l’aumento e la visibilità di nuove forme di povertà educativa digitale. Questo ha messo in luce le forti disuguaglianze digitali, non solo nelle diverse disponibilità di connessioni e di dispositivi, ma anche e soprattutto nelle diverse capacità di utilizzo di tali strumenti.
Ci siamo dunque illusi che il naturale interesse che gli schermi spesso suscitano già nella prima infanzia e le presunte competenze digitali che questa attrazione automaticamente produrrebbe nei bambini e nelle bambine, potessero sollevare gli adulti dal loro ruolo educativo. I nativi digitali, in tal senso, non esistono, ma rappresentano un falso mito (Di Bari, 2023), che ci ha ammaliato e sedotto, facendo emergere al contempo tutte le fragilità, le fatiche e le responsabilità dell’essere adulto nell’era digitale.
L’alfabetizzazione tecnologica nell’infanzia non è esito di automatismi, bensì richiede - proprio all’adulto che si occupa della cura e dell’educazione delle giovani generazioni - conoscenza, competenza, scelte consapevoli e una postura etica che si nutre di dubbio, dialogo e riflessione. Così da trovare, di volta in volta, le soluzioni più efficaci al fine di promuovere le competenze digitali di bambini e bambine e garantire il loro benessere e la sicurezza in rete.
In tal senso, pare di interesse l’esperienza dei patti digitali (https://pattidigitali.it/), che riunisce Il Centro di Ricerca “Benessere Digitale” dell’Università di Milano-Bicocca (www.benesseredigitale.eu), impegnato sul rapporto tra media digitali e qualità della vita, e tre associazioni attive nel campo dell’educazione consapevole all’uso dei media (Mec, Aiart Milano e Sloworking). Lo scopo dei patti digitali è promuovere la nascita e lo sviluppo di Patti di comunità per l’uso della tecnologia e di favorire l’incontro tra genitori, insegnanti e altre figure educative per diffondere la conoscenza su tali temi e per co-costruire regole condivise di accesso e di utilizzo alla tecnologia. Ad esempio, in relazione all’età giusta per cominciare a usare uno smartphone. Si tratta di un’esperienza che sembra prospettare la valorizzazione della tecnologia in una logica inclusiva, partecipata e democratica.
Oggi non è più possibile ignorare ciò che la ricerca scientifica evidenzia in materia di tecnologia nell’infanzia e nell’adolescenza, per esempio circa il ruolo che tablet e smartphone svolgono nelle vite dei più piccoli. Da un recente report del sopra citato Centro di ricerca circa un’analisi dei predittori sociali dell’età di accesso al primo smartphone personale e delle sue possibili conseguenze nel tempo sono emersi dei dati importanti. Ad esempio, relativamente ai risultati scolastici, alle competenze digitali, agli usi attivi e creativi del web, cioè alle capacità di aumentare le opportunità sociali e cognitive degli utenti, ma anche ai rischi di dipendenza dagli strumenti tecnologici, al benessere soggettivo e alla soddisfazione generale per la propria vita. Da questi studi emerge che “Gli smartphone arrivano prima nelle famiglie con basso titolo di studio e tra le ragazze, riproponendo un ‘digital divide rovesciato’ già riscontrato in molte ricerche italiane e internazionali (si veda Gui, 2015) […] e un’associazione negativa tra l’età precoce di arrivo del primo smartphone personale e diversi tipi di outcome.
Al contrario, più è alta tale età e più migliorano gli indicatori, dai livelli di apprendimento (soprattutto per la lingua italiana) alla competenza digitale, alla problematicità nell’uso del device stesso” (Gui et al., 2020).
A fronte di ciò, anziché demonizzare e vietare la tecnologia o, al contrario, concederla incautamente fin dall’infanzia senza regole né controlli, appare oggi coraggiosa la scelta di gruppi di adulti di condividere strategie e obiettivi di utilizzo degli strumenti digitali a casa, in famiglia, a scuola e nella comunità.
Del resto, nessun media è educativo o diseducativo in sé (Di Bari, 2023) ma ciò che lo rende tale è la capacità degli adulti stessi di accompagnare bambine e bambini ad esplorare la tecnologia stando con loro in gioco e in ricerca.