IDENTITÀ MULTIPLE FIN DALL’INFANZIA
Nel 1936 l’antropologo statunitense Ralph Linton già ci ricordava che le più grandi imprese dell’umanità sono nate dal meticciamento di idee e pratiche culturali, dalla contaminazione di culture e lingue, dagli spostamenti e dai trasferimenti (di persone, di pratiche, di oggetti, animali, piante, usanze): nella nostra vita quotidiana infatti non troviamo nulla che rispecchi puramente un’unica cultura o un’unica lingua o un’unica identità. Ci illudiamo che l’identità crei appartenenza, tralasciando tuttavia che essa, separando “noi” dagli “altri” e distinguendo chi appartiene da chi non appartiene, chiude e divide, ci definisce e ci include escludendo gli altri, attraverso un nuovo razzismo contemporaneo fondato su basi culturali, anziché biologiche, che si diffonde continuamente in nuove forme (Aime, 2020)*.
Ciascun individuo, fin dalla sua nascita, ridefinisce gli equilibri delle proprie appartenenze (sociali, culturali, etniche, linguistiche…) divenendo ciò che è per via di un intreccio ibrido, di volta in volta unico e speciale, tra culture, relazioni, luoghi, lingue.
Chi mai potrebbe definire una volta per tutte quale sia l’identità di un bambino che vive in una città di lingua fiamminga, con madre italiana e papà turco, che parla quattro lingue diverse, frequenta una scuola internazionale e condivide le pratiche religiose della comunità islamica locale?
Fin da piccolissimi, bambini e bambine appartengono peraltro a più comunità diverse (la famiglia, il nido/la scuola, la squadra sportiva, l’associazione ludica, gli amici del parco o quelli delle vacanze, il gruppo musicale, la comunità religiosa, il vicinato, …): essi non crescono in un unico gruppo né in un’unica cultura e per questo ogni identità sfugge, non è mai definita ma ne cela molte altre, perdendosi in stereotipi che si esprimono attraverso espressioni colme di ambiguità: “io sono italiano”, “io sono musulmano”, “io sono nero”, “io sono piccolo”. Non a caso, definire l’identità è aspirazione adulta.
Diversi studi del resto evidenziano che bambini e bambine oggi sono abili nel gestire numerose identità, con valori, regole, codici e linguaggi diversi: le loro modalità di interazione con i genitori e i membri della propria famiglia si distinguono da quelle utilizzate con insegnanti, allenatori ed educatori, così come variano ulteriormente quando si relazionano con altri bambini e bambine, nei diversi contesti che frequentano.
La ricerca antropologica ha altresì mostrato che i bambini non recepiscono passivamente le pratiche culturali della propria comunità: dai resoconti etnografici di molti studi i bambini emergono come soggetti attivamente partecipi alle interazioni sociali e all’apprendimento culturale, acquisendo convenzioni, regole, norme e standard e addirittura modificandoli per i propri scopi. Similmente, bambini e bambine introducono nei propri contesti di vita sempre nuovi gesti e significati, talora inusuali per il proprio contesto (familiare o culturale) di riferimento che pur ampliano la gamma di comportamenti, valori e routine possibili.
L’identità non è dunque qualcosa di innato bensì di acquisito e in continuo divenire e proprio per la sua intrinseca pluralità non può definirsi e tanto meno restringersi a una identità singolare bensì può, tutt’al più, essere riformulata in identità multiple e plurali. Proprio in funzione di ciò e della crescente complessità delle plurime identità di ciascuno, che variano con l’ampliarsi delle sue appartenenze e delle sue relazioni con più gruppi, l’educazione assume un ruolo centrale.
Educare bambini e bambine alla diversità (culturale, sociale, familiare, etnica, linguistica…) diviene così un obiettivo importante di genitori, educatori e insegnanti innanzitutto: tali adulti hanno infatti la responsabilità di crescerli – in famiglia e nei servizi educativi e scolastici - coltivando consapevolmente non tanto la distinzione di sé dall’altro bensì il valore della diversità, esponendoli cioè in modo diffuso alla conoscenza e alla familiarizzazione con le diversità (di persone e relazioni, origini sociali, etniche e culturali, lingue e dialetti parlati, caratteristiche fisiche, strutture familiari, orientamenti sessuali, opinioni e punti di vista, abitudini alimentari e pratiche di vita…). Ovviamente ciò richiede altresì agli adulti la cautela di evitare subdoli meccanismi che comunicano gerarchie tra migliori e peggiori, tra gruppi dominanti e gruppi minoritari, tra modelli graditi e modelli meno accettabili (si pensi, ad esempio, ai messaggi impliciti inviati ai bambini di una classe in cui i libri presenti sono solo in una lingua e le foto appese rappresentano solo famiglie nucleari o bambini biondi e sorridenti dalla pelle bianca).