
I MANDARINI DI FUTURI
Ho imparato da poco a parlare di futuri usando il plurale. Ho imparato da ben più tempo a chiedere pareri, pensieri, contributi a chi si è specializzat* su tematiche che mi incuriosiscono, ma di cui non ho approfondito gli studi. Tra questi ci sono Roberto Paura e Isabella Pierantoni, rispettivamente Presidente dell’Italian Institute for the Future lui e Fondatrice di Generation Mover™ lei, che hanno impreziosito questo trimestrale con i loro interventi. Consiglio di navigare nei siti di entrambe le realtà per scoprire un po’ di sana bellezza. O almeno così è stato per me.
Voglio riprendere ora una frase dall’articolo di Roberto che in particolar modo mi ha colpita. “Se prevedibilità vuol dire controllo, quanto più il nostro futuro sarà prevedibile tanto più sarà controllabile; e alla fine non sarà più il nostro futuro, ma quello di qualcun altro.”
Perché ci sono due almeno filoni che mi vengono in mente quando si parla di futuri. Il primo, tristemente prevedibile, è quello della sostenibilità. Quello dell’incontestabile tragica situazione in cui verte il nostro pianeta, di cui l’alluvione in Emilia Romagna è solo l’ultimo gravissimo episodio. Quindi un futuro che ha a che fare con le decisioni, talvolta scellerate talvolta inconsapevoli, che la mia generazione e quelle precedenti alla mia hanno preso negli ultimi cinquant’anni, che esigono ora una repentina e massiccia inversione di rotta nei comportamenti di ogni singolo individuo, dei governi, dei Paesi e delle realtà trans-nazionali. Inversione di rotta che non può più aspettare, che andava fatta non ora, ma stamattina, ieri. E che non ha più bisogno di parole, ma solo di azioni. Il secondo filone di pensiero è quello collegato alla citazione che vi ho riportato in apertura che mi pone davanti il complesso tema di dati, di algoritmi che puntano a conoscermi meglio di mia madre (e forse già lo stanno facendo), di profilazione, di piattaforme social, di marketing e di ricerca che attraverso ogni singola visualizzazione e digitazione decidono cosa mi piacerà o non mi piacerà, di cosa avrò bisogno, chi sarò. Restringendo sempre di più l’identità multipla e intersezionale che mi compone fino a trasformarla in un rinsecchito identikit, in un profilo nel senso originario del termine: la linea sottile che fa da contorno al mio viso se mi guardi in controluce.
E penso valga davvero la pena riflettere anche su questo secondo filone, riflettere tutt* intendo, per capire se il ritenerci artefici del nostro futuro sia solo una mera illusione che, come un mantra, viene ripetuta dai coach motivazionali per riempire le ore di sessione (senza voler offendere nessun*, ci mancherebbe) o se c’è ancora uno spazio – tra l’oggi che finisce e il domani che inizia - per ciò che è umano, labile, imprevedibile e obliquo.
Perché forse una possibile soluzione a questa “locomotiva dalla strada segnata” è scartare di lato. E cadere, se necessario. Come cantava De Gregori in Bufalo Bill.