I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: UNA STORIA CORALE E COLLETTIVA, RACCONTATA DA ANIMENTA
La Dott.Ssa Rita Charon, medica internista ed esperta di medicina narrativa, afferma che “è necessario raccontare il dolore per sottrarsi al suo dominio”. Eppure, esistono dolori che non sempre riescono ad essere raccontati, non sempre si riescono ad esprimere a parole. Questo è, spesso, quello che accade quando ci si ammala di un Disturbo del Comportamento Alimentare, una malattia psichiatrica che trova la sua espressione in un rapporto complesso con il corpo, con il cibo e con il peso.
Il nome può trarre inganno, però. Capita spesso di concentrarsi solo sul termine “alimentare” come se queste fossero solo malattie del cibo e ci si dimentica della parola malattia che compone la prima parte dell'equazione, spesso quella più complessa da conoscere e riconoscere. Almeno è così che è capitato a me quando all’età di 16 anni mi sono ammalata di anoressia nervosa.
All’inizio non ti accorgi di quello che sta accadendo, la chiamano la fase della luna di miele. Il disturbo alimentare, nei primi tempi della malattia, sembra, in apparenza, essere funzionale al tuo dolore, è un meccanismo di sopravvivenza che hai trovato, che hai fatto tuo per rispondere a quella sofferenza.
L’anoressia è entrata di soppiatto dalla porta principale di casa mia. Si è prima seduta a tavola con noi, poi ha occupato ogni spazio, si è infiltrata in ogni dove, in ogni conversazione, in ogni riflesso nello specchio. Ho pensato per anni di non aver sofferto di un disturbo alimentare perché, all’inizio, non rispecchiavo gli stereotipi dell’anoressia nervosa: non ero ancora considerata abbastanza grave, non ero ancora troppo sottopeso.
E visto che i Disturbi Alimentari più che il cibo e il corpo, riguardano il modo in cui ci sentiamo nel mondo, riguardano i vissuti nascosti che non riusciamo ad esprimere, mi sono chiesta: esiste forse un’unità di misura per raccontare il dolore? La mia risposta a questa domanda è no, eppure sono tante le testimonianze ricche di “non abbastanza” e di stereotipi.
Anche se raccontiamo storie al femminile, i disturbi alimentari riguardano anche gli uomini. Nonostante i dati ci dicono che sui tre milioni di italianə che soffrono di un Disturbo Alimentare, 2 milioni sono adolescenti, c’è un sottobosco di persone adulte che non viene preso in carico perché molto volte non visto, non considerato e non percepito. Dopo la pandemia, inoltre, si è registrato un aumento di Disturbi Alimentari nei bambini e nelle bambine più piccolə, con età di insorgenza tra i 7 e gli 8 anni.
E forse a questo punto vi starete chiedendo: perché ci si ammala di un disturbo alimentare?
La risposta non è univoca e potremmo trovare diverse risposte tante quante sono le persone che vivono questa malattia. I disturbi alimentari sono malattie multifattoriali, significa che ci sono una serie di cause e concause che possono portare alla loro insorgenza. Come un puzzle molto grande con i pezzi non ordinati a cui, grazie alla terapia e al supporto, riesci a dargli un senso. Spesso i disturbi alimentari nascono da una richiesta di riconoscimento, da un tentativo di risposta alla domanda “chi sono io? Cosa ci faccio qui?”.
Il racconto dei disturbi alimentari è per me una storia corale e collettiva. Non c’è infatti una sola storia con cui possiamo raccontare questa malattia e, forse più in generale, non c’è mai un’unica storia. Per riprendere il TEDx, The danger of a single story, di Chimamanda Ngozi Adichie: “Il problema di un’unica storia è che crea stereotipi. E il problema degli stereotipi è che sono falsi ed incompleti”. Per confermare questo basta chiedere a qualcunə se conosce un disturbo alimentare e vi parlerà quasi solo dell’anoressia nervosa e forse, della bulimia. Questo accade perché le informazioni che riceviamo e le immagini che vediamo costruiscono la nostra percezione del mondo e se raccontiamo solo un certo tipo di storia molte persone arriveranno a credere di non essere malate, di non avere il diritto di chiedere aiuto. Da questa esigenza, ho fondato a gennaio 2021 Animenta, un’associazione non profit che in tutta Italia si occupa di Disturbi Alimentari dalla prevenzione nelle scuole, al supporto per famiglie e pazienti, alla riabilitazione fino ai progetti di welfare insieme alle aziende che supportano le attività dell’associazione.
Animenta è il luogo in cui ogni storia è accolta e il giudizio è bandito e che, oggi, fornisce il supporto a cui non sempre le persone hanno accesso tramite il sistema sanitario nazionale. Oggi, come dice il dottor. Stefano Erzegovesi, i Disturbi alimentari sono la Cenerentola della sanità: per 3 milioni di italianə abbiamo a disposizione solo 900 posti letto e 126 strutture in tutta Italia (Fonte: Ministero della Salute; Istituto Superiore di Sanità). Se è vero che dai Disturbi Alimentari è possibile guarire (e lo è per davvero altrimenti non trovereste la mia firma sotto questo articolo) è anche vero che si guarisce se diamo alle persone la possibilità di curarsi in modo adeguato e tempestivo. Ma purtroppo questo non sempre, oggi, è possibile. Basti pensare al fatto che per la Legge di Bilancio 2024 non è stato rinnovato il Fondo per il contrasto dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Legge di bilancio 30 dicembre 2021, n. 234) che aveva in dotazione 25 milioni di euro per gli anni 2022 e 2023 e che ha permesso a molte strutture di ampliarsi.
Investire nella salute mentale tutelando il diritto alla cura significa investire nelle generazioni future, dare nuove possibilità e, più di tutto, far riscoprire il valore dell’esistenza per chi in questo modo oggi non riesce a starci.