GENERE E GENERAZIONI
Il segreto per una azienda a prova di futuro
Dopo quasi un anno e mezzo di emergenza pandemica, grazie alla campagna vaccinale riusciamo a intravedere i profili di una nuova normalità: l’economia e la sua ripresa si dovranno fondare sul lavoro, inteso nel senso più inclusivo ed esteso possibile, che tenga conto di quanto appreso ultimamente su questi temi. Anche se era già evidente da tempo, è necessario ora comprendere come l’ingresso nel mercato di una forza lavoro sempre più varia e numericamente consistente possa creare benessere, opportunità, crescita. Non solo: alle giuste condizioni, l’aumento dell’occupazione crea maggiore uguaglianza e ricchezza condivisa. Esattamente ciò di cui, ora più che mai, abbiamo bisogno.
Voglio qui soffermarmi sui giovani e sulle donne, due “categorie” di persone che hanno subito più di altre l’impatto della crisi. Da un lato per la mancanza di opportunità e visione a livello strutturale, dall’altro perché le loro esigenze e aspettative sulla vita professionale non collimano con quelle del mondo “in bianco e nero” nel quale le generazioni precedenti sono cresciute. Se vogliamo guidare la ripresa, favorendo ambienti inclusivi e attraendo i migliori talenti, non possiamo ignorare queste due categorie, centrali per le organizzazioni “a prova di futuro”.
La ricerca Global Workplace Trend, condotta recentemente dal gruppo Sodexo, aiuta a tratteggiare un profilo dei giovani della Generazione Z.
I cosiddetti “nativi digitali” prediligono un ambiente di lavoro dinamico e stimolante che richiami costanti interazioni a cui hanno accesso grazie alla tecnologia. L’impronta individualistica è forte, il benessere fisico e psicologico è il fattore più importante per la propria felicità, ma sappiamo che la Gen Z è anche quella più impegnata nella lotta al cambiamento climatico e alle discriminazioni. Le scelte che fanno, compreso il posto di lavoro, sono guidate dai valori in maniera maggiore rispetto alle generazioni precedenti.
Gli ostacoli all’ingresso nel mondo del lavoro delle donne, purtroppo, sono ben noti: preconcetti sull’educazione e la realizzazione personale delle bambine, un gender pay gap ingombrante e una sproporzione nella gestione del carico di lavoro domestico non retribuito tra uomini e donne. In Italia, lavora in media solo una donna su due, nel Sud e nelle Isole addirittura una su tre e se consideriamo la fascia d’età tra i 25 e 34 anni risultiamo essere il fanalino di coda dell’Europa per occupazione femminile. La maggior parte delle donne svolgono lavori meno qualificati e meno remunerativi degli uomini: quindi esistono professionalità e livelli manageriali ancora quasi totalmente preclusi alle donne. Tutti dati ribaditi in più occasioni, ma senza che reali progressi siano stati fatti.
Alla luce di questo contesto, come azienda abbiamo un importante ma semplice obiettivo: garantire un accesso al lavoro fondato sull’eguaglianza per tutti e permettere alle persone che lavorano con noi di sviluppare un vero senso di appartenenza nei confronti dell’azienda, che porti ricchezza non solo negli obiettivi raggiunti nel lavoro che svolgiamo per i nostri clienti e per le comunità in cui operiamo, ma anche nella vita personale dei collaboratori.
Secondo noi, una chiave interessante per coltivare questo senso di unità e orgoglio è incoraggiare il rapporto professionale tra diverse generazioni, leva fondamentale della nostra strategia di Diversity, Equity & Inclusion e parte dei cinque pillar su cui si basa il nostro approccio in materia.
Favorire l’integrazione tra le generazioni è una necessità primaria che ritroviamo anche nelle realtà più “chiuse” ed è un punto di partenza imprescindibile per incoraggiare una maggiore apertura anche su altri fronti, ben riassunti negli altri quattro pillar del nostro approccio: Genere, Cultura & Origini, Disabilità, Orientamento Sessuale. Quando l’integrazione funziona si genera una sinergia che porta spontaneamente al cosiddetto “reverse mentoring”, una forma di scambio e apprendimento reciproco che, spesso, va ben al di là delle competenze lavorative, per impattare in positivo la vita delle persone nel suo complesso. Per troppo tempo abbiamo pensato che fossero solo i giovani a dover imparare dai professionisti più anziani, ma la disruption tecnologica e la velocità a cui cambia la società, ci hanno insegnato che non è così. L’integrazione tra generazioni si rivela molto positiva, ad esempio, per incoraggiare l’empowerment e la leadership femminile e trasmettere in maniera capillare i valori aziendali.
Sodexo, inoltre, rafforza di anno in anno il proprio impegno per essere un datore di lavoro inclusivo con nuove iniziative e partnership. Tra le più rilevanti ci tengo a citare il progetto di talent attraction italiano “Primavera”; “Olvida las princesas” (Dimentica le principesse) contro gli stereotipi di genere (arrivato alla quinta edizione in Spagna); e “SheWorks”, un programma di job shadowing implementato a livello globale che offre a giovani ragazze o studentesse l’opportunità di seguire il personale Sodexo per un giorno intero, con l’obiettivo di conoscere le opportunità lavorative a cui possono ambire in un contesto aziendale.
Il nostro Global Workplace Trend prevede che entro il 2025 gli appartenenti alla Generazione Z rappresenteranno un terzo della forza lavoro globale, mentre la Banca d’Italia stima che se la percentuale di donne al lavoro arrivasse al 60 per cento, il Pil nazionale crescerebbe di 7 punti percentuali. Per uscire dalla crisi e costruire il futuro che ci attende, l’inclusione è un passo necessario che non si può rimandare oltre. L’evoluzione normativa su questi temi segue strade più tortuose e inevitabilmente lente ma, come aziende, possiamo e dobbiamo ricoprire un ruolo importante nel tracciare la direzione, accogliendo le istanze di tutti, soprattutto dei giovani, e trasmettendo la nostra idea di progresso.