Generazione Z
La parola chiave è autenticità
media hanno creato lo stereotipo corrente di bellezza, ma possono contribuire a distruggerlo. Si vedono cambiamenti importanti, accelerati dalla digitalizzazione, potenziati dai flussi di coscienza elaborati nei lunghi mesi di lockdown (soprattutto dalla famosa GenZ, non vinta dall’estetica mainstream) e da uno zeitgeist particolarmente frizzante legato all’emergere di nuove piattaforme di comunicazione.
I social media hanno inizialmente ereditato un bagaglio di canoni estetici convenzionali dalla tv e dalla stampa, pensiamo alle prime influencer su Instagram: un luogo dove poter raccontare se stesse con i riferimenti di stile che ambivano a essere, finalmente liberi dal filtro impenetrabile delle agenzie di modelle e dei magazine. Le migliori fra loro hanno imparato in fretta a gestire la propria immagine sui social ibridandola con una modalità di execution stilistica propria del mondo delle PR e della moda: il fulgido esempio è Chiara Ferragni con il geniale innesto degli stilemi Fashionweek-driven in uno storytelling da media borghesia milanese.
Per anni i feed di Instagram sono stati intasati da corpi perfetti, case perfette, viaggi da sogno e nuove professioni apparentemente lucrosissime e prive di insoddisfazione, che sono diventate il fulcro dello storytelling social. La generazione dei Millennial ha assorbito diligentemente e senza farsi troppi problemi un concetto di perfezione irreale e tossico.
Poi, la pandemia. La GenZ, obbligata nelle camerette da lockdown, ha colliso con nuovi algoritmi che spingevano più l’intrattenimento che l’estetica, e ha improvvisamente scoperto di avere un rinnovato e potentissimo potere di espressione del proprio disagio: dai Fridays for future, alla discriminazione razziale passando per le tematiche di genere, la protesta ha trovato imprevisti alleati in contenuti nascosti nelle for you pages di TikTok, altrimenti affollati da balletti e lipsync.
In questo contesto, la prima vittima della generazione quarantenata è stata proprio la perfezione estetica derivata dai media tradizionali, e il concetto di body positivity ha cominciato ad acquisire senso e complessità.
Da una parte i social sono diventati il luogo dove esplorare e proclamare la propria unicità, la propria “non bellezza”, la propria diversità. La musica e la moda si sono adeguate, sposando almeno in superficie un’estetica fondata sulla necessità di accettare se stessi.
Dall’altra, sempre sui social, sotto questa voglia di riscatto e di cambiamento della percezione del proprio corpo vediamo tanti contenuti che tradiscono la fragilità immensa di chi è cresciuto con modelli estetici stereotipati, ha ancora paura dell’altrui giudizio e affronta ogni giorno la sfida di una accettazione di sé ancora lontana dall’essere pienamente vinta. Su TikTok, se si ha la pazienza di andare oltre l’apparenza ludica del mezzo, è emozionante e commovente vedere come questa generazione abbia deciso di combattere una battaglia diversa da quella delle generazioni precedenti, non più e non solo contro i genitori o contro il sistema costituito, ma contro se stessi.
I social media, palinsesto narrativo del nostro quotidiano, possono essere loro grandi alleati. Vedere normalizzata l’imperfezione estetica, la disabilità o il proprio orientamento sessuale rende la lotta contro gli stereotipi meno dolorosa e contribuisce, ogni giorno, a creare un nuovo non-ideale di bellezza. Le probabilità di successo sono alte: una delle leve più potenti sugli algoritmi è l’autenticità (il vangelo di TikTok recita ‘be authentic’ come primo comandamento) e nei contenuti che promuovono l’inclusione e la diversità fisica, etnica, sessuale ecc. si trova quella voglia di mostrarsi come si è, che finora non era mai stata veicolo di consenso ma, anzi, di discriminazione.
Le scelte dei Brand possono essere il fattore decisivo, l’arma finale per dare la spallata ai vecchi stereotipi e creare una nuova cultura della bellezza, e si iniziano a vedere casi rilevanti: MAC cosmetics si è aperta al B2C parlando sui social a un target genderless mai visto in comunicazione, ma che rappresenta sfumature reali.
Zalando sta cambiando i suoi codici di comunicazione per avvicinare pubblici eterogenei, sceglie TikTok per parlare della sua linea second hand e crea contenuti in feed per chi non vede il proprio corpo come un limite, in nome di un modello di sostenibilità ambientale e umana che è un tema delicato per tutto il settore moda.
McDonald’s ha lanciato il nuovo Big Mac insieme a Ghali, dando vita a un gramelot fatto da parole provenienti da tutte le lingue del mondo che si traduce sui social nella possibilità di creare una propria versione della canzone, con la propria lingua o slang. Il pay off “Lo capisci solo se lo provi” è un invito a provare la diversità, a conoscerla da vicino.
Le scelte che facciamo nei media possono avere un impatto positivo sulla cultura, e portare un enorme valore ai brand in termini di fiducia e vicinanza, ma ancora una volta la parola chiave è autenticità. Le nuove generazioni forse non riescono ancora ad accettare fino in fondo la loro vera, luminosa bellezza, ma non hanno alcuna incertezza quando devono affondare una campagna poco sincera.